Omelia (05-09-2003) |
Paolo Curtaz |
No, sarebbe sciocco e inopportuno digiunare durante la festa di nozze dello sposo, inopportuno restare tristi o mortificati, più devoti di Dio nell'offrirgli sacrifici che non ha chiesto. Il messaggio di Gesù è urticante: piantiamola di gettare addosso a Dio la maschera cupa e severa che non gli rende onore ma che – anzi – ne oscura la vera natura. Eppure conosco tanti, troppi cristiani che pensano alla fede come a qualcosa di doveroso, utile, necessario, ma mortalmente serio e noioso; amici: lo sposo è con noi! La nostra gioia dovrebbe contagiare, essere conosciuta, diventare leggendaria, tirare per i capelli i fratelli in difficoltà. Invece nulla, le nostre celebrazioni sono più simili ad un compianto funebre che ad una festa, ciò che resta nei cristiani, dal loro modo di parlare alla musica che ascoltano, rassomiglia più alla cupezza che alla perfetta letizia. Intendiamoci: alle volte la vita chiede pegno e conosco fratelli in ascolto che sono stati masticati dalla croce, continuamente provati dal dolore; ma mi rifiuto di credere che questa sia la condizione della maggioranza dei fedeli! Non esiste che un modo per superare il dolore: non amarlo. La gioia cristiana è un dolore superato, la scoperta di un Dio bello come uno sposo; di una vita che può diventare una festa di nozze ben riuscita (lo confesso: ho celebrato nozze piene di fasti e di lussi ma di una tristezza immensa). Digiuniamo quando lo sposo ci viene tolto, quando l'uomo – volto di Cristo – è umiliato e subisce violenza, digiuniamo, certo, quando il mondo ci strappa alle nozze e dobbiamo dare disciplina e regola al cuore per ricuperare il volto sorridente di Dio. Che il Signore ci conceda, oggi, di essere – almeno un poco – testimoni di tanta luce... Tu sei con noi, sposo dell'umanità, noi non digiuniamo e superiamo la tristezza del cuore ed ogni nostro giorno è festa e speranza, amico degli uomini! |