Omelia (07-09-2003)
Paolo Curtaz


Marco non intende proporre un Gesù taumaturgo fine a se stesso, un Gesù primario di una universale clinica delle guarigioni. Migliaia di lebbrosi circolavano sulle strade polverose della Palestina e pochi di essi furono sanati, migliaia di ciechi disperati chiedevano l'elemosina ai bordi delle strade e pochissimi riebbero la vista. Allora? L'impressione è che Gesù sia convinto che non è la salute la felicità dell'uomo. Ma che l'uomo necessiti di molte più cose. D'altronde lo avete sicuramente visto anche voi, il coraggio di certe madri farsi forza per sostenere il figlio handicappato, e il gesto annoiato di chi ha tutto, salute, successo, denaro, ma si butta in un ago di siringa. Un desiderio ho sempre coltivato nel mio cuore, un desiderio colmo di ingenuità: intervistare i miracolati di Gesù. Si ha l'impressione, netta, che dopo la guarigione non sia solo avvenuto il miracolo della salute, ma quello della salvezza. E' quasi urtante sentire Gesù che chiede: "cosa vuoi che ti faccia?" al malato. Eppure, lui lo sa che è qualcosa di più grande che può rendere felice il cuore dell'uomo. Qual'è la tua malattia, fratello? Quale sofferenza hai nascosto in questi anni, per non ferire il tuo sposo o il tuo figlio? Quale cruccio dell'infanzia, quale tragedia nella tua famiglia hanno intristito il tuo sorriso? Quale paura tieni nascosta nella cantina del tuo castello interiore? Quale debolezza psicologica frena lo slancio del passo? Ebbene: Gesù ti guarisce. Gesù ti salva. Gesù ti ama. E noi siamo la sua medicina, il suo volo sorridente al fratello povero e sofferente. Ancora ieri una persona, scossa per una morte improvvisa ed ingiusta, che gettava nel caos il futuro di una famiglia, mi diceva con rabbia "Dio dov'è?". E io, con lui, sono andato in Chiesa, e ho pregato: "Dio, dove sei?". Poi mi sono alzato e gli ho detto: "E tu, dove sei? Vediamo se possiamo inventarci qualcosa per aiutarli". Buone notizie, amici, buone notizie da celebrare e da far diventare pane quotidiano e mano tesa ad accarezzare il fratello perso.

Guarisci i nostri cuori, Rabbì, guariscici nel profondo.