Omelia (27-09-2003)
Paolo Curtaz


I dodici sono pieni di meraviglia per le cose che Gesù fa: ne sono avvinti, affascinati, rapiti: d'altronde quale uomo ha mai parlato come parla quest'uomo? E i gesti che ha compiuto? I segni prodigiosi? L'atmosfera si scalda, gli animi si entusiasmano e Gesù, con volto duro li invita a superare la loro emotività e l'entusiasmo, potranno riparlarne solo dopo lo scandalo della croce; ovviamente loro – e noi – capiscono. No, abbiamo paura a porre domande, abbiamo paura a credere in un Dio che –pur potendo evitare la sofferenza – l'assume. Fratelli in ascolto, mettetevelo bene in mente: sappiamo se siamo davvero discepoli solo quando la sofferenza bussa alla porta, riconosciamo la fede solo dopo avere attraversato il dolore e il buio, siamo davvero come Cristo solo dopo avere con lui superato il Calvario. Così – allora – va letta la vita spirituale: non come una situazione stantia, una conquista acquisita, una cosa certa, un pantano interiore, ma come un cammino alla scoperta di Dio e alla scoperta di me stesso e della storia; quanta strada ancora dovranno compiere i poveri discepoli, quanto senso del limite dovranno misurare per diventare – finalmente – apostoli come il loro Maestro... Animo fratello che triboli nella fede, amico impantanato nella tua affettività, sorella inchiodata alla tristezza, forse seguire il Maestro vuol dire anche attraversare questo pezzo di deserto. Con Lui, però.

Non osiamo chiederti nulla sulla tua sofferenza, sulla tua scandalosa scelta del dono della croce; aiutaci a non ricercare la gloria senza fatica, a prenderti e prenderci sul serio nell'amore, Dio benedetto nei secoli.