Omelia (12-08-2020) |
don Giampaolo Centofanti |
Il brano iniziale di questa pericope riguarda questioni di ortodossia o meno della fede. Non è un caso sia collegato con quello della preghiera in comune. Essa va vissuta nel nome di Gesù. Non in un bene qualsiasi prodotto dall'uomo ma lasciandosi portare da Dio nella preghiera: nella fede, nei criteri della fede. Attingendo a questa grazia che è eucaristica, comunionale, la nostra esistenza rinasce integralmente. Quando dico sì alla chiamata di Dio, quando veglio sulla sua chiamata non mi apro meramente ad una certa bontà umana ma a tutti i doni spirituali, umani e materiali che Dio vuole elargirmi. E a quelli che mi dà perché glieli chiedo io. Rendo più facile a Dio farmi questi doni perché essi non sono cose ma vita. Non può maturare la pesca se il ramo non è cresciuto. Per questo, se le condizioni della mia vita non mi consentono per esempio di partecipare alle riunioni della mia comunità di crescita per lungo tempo, pur restando legato a tale realtà ecclesiale finché dura l'ostacolo cercherò di partecipare ad incontri di un'altra comunità. Il punto non è il fare per forza qualcosa ma stare col cuore in cerca di Dio. Se realmente non mi è possibile essere presente in nessun gruppo in un cammino graduale potrò imparare ad essere sempre più attento a coltivare il rapporto con Dio come possibile. Ha ricolmato di beni gli affamati, canta Maria nel Magnificat. Tale è anche il senso profondo del legare e sciogliere. Certo Dio non riduce al cuore limitato di uomini, pur di Chiesa, il suo amore senza limiti. Ma ci insegna a cercare la conferma della Chiesa. Questa può aver giudicato erroneamente delle persone ed esse era giusto confidassero nell'Amore di Dio che va oltre. Ma una ricerca gradualmente sempre più profonda spinge a cercare un nuovo giudizio della Chiesa appena una nuova situazione lo consenta. |