Omelia (15-08-2020)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Giuseppe Di Stefano


CORONAMENTO
Maria, una di noi, della nostra stessa "pasta", viene assunta nella vita stessa di Dio. Dopo aver assunto nella sua vita di donna lo stile divino di una disponibilità e di un'accoglienza senza riserve, per Maria quest'oggi sembra "scomodarsi" il Cielo, per coronare quella sua vita, donata fino a dare vita in lei al desiderio stesso di Dio. Essere con noi, per noi, in noi.
La liturgia non ci spiega che cosa sia avvenuto, né tantomeno come sia avvenuto quello che oggi celebriamo. Con semplicità ci ricorda che alla fine della vita non può che avvenire ciò che è già avvenuto nel suo corso. La vita di Maria fa parte della vita di Dio: oggi Maria è stata assunta nella vita di Dio, perché è stata capace di assumere la vita di Dio nella sua vita fino a darle la sua stessa carne. Sì, in quel crocevia che è il grembo di Maria, il Signore dell'impossibile diventa possibilità, incontro, parola, carezza, abbraccio spalancato. Ciò a cui siamo chiamati è nient'altro che questo: vivere la nostra vita in pienezza, sapendo che Dio è lì, tra le pieghe dei nostri giorni, e desidera solo di vederci fiorire. Non mortifica, non giudica, non condanna. Dio semplicemente accade, amore nei nostri amori, desiderio sovrabbondante di vita nelle nostre vite, e cerca casa, chiede accoglienza perché la nostra umanità possa germogliare in pienezza, in tutta la sua bellezza, con Lui e in Lui.
Guardando a Maria, alla vita, così straordinariamente ordinaria, ci rendiamo conto che quando Dio ama, fa gesti molto umani. Il Dio che ha innamorato Maria, infatti, non è il Signore delle altezze, ma Colui che è sceso fino a lei per mendicare il suo amore, un posto nella sua vita. È a questo Dio che Maria si arrende fino a dire all'angelo: «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), e ai servi di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). In queste due espressioni c'è tutta Maria, quel suo amore così genuinamente umano e per questo capace di gesti così divini, di accoglienza sconfinata, di fiducia incondizionata.
La visione dell'Apocalisse che la Chiesa ci consegna in questa festa, ci mostra due segni: quello grandioso di una donna incinta che grida per le doglie e il travaglio del parto, e un altro, alquanto inquietante, di un drago che attende di divorare il bambino appena la donna lo avesse partorito.
Il miracolo che ogni donna sperimenta, nel suo corpo di madre, è che, appena dopo il parto, diventa capace di allattare. Una madre diventa subito capace di nutrire la sua creatura, trasformando il proprio sangue in latte, mentre il drago è sempre pronto a divorare.
Ecco quello che la Parola ci chiede: passare dalla logica del divorare, del divorarci gli uni gli altri, alla logica del dare, del prendersi cura, del donare come del donarsi. Questo ha fatto Maria. Questo siamo chiamati a fare anche noi, certi che quando c'è di mezzo Dio, cui «nulla è impossibile» (Lc 1,27).