Omelia (15-08-2020)
don Luca Garbinetto
Sobbalzi di gioia

Se c'è una scala che ancora abbia senso salire per arrivare al Cielo, questa è la scala della gioia. Di gradino in gradino, il vangelo ci consegna l'esperienza di un progressivo traboccamento, che ha in Maria l'esempio compiuto. Per la verità, la gioia a tratti si manifesta alla maniera del vino nuovo, che sale su rapidamente per il collo della bottiglia ed è ansioso di uscire scoppiettando. Accadde così, per esempio, nell'incontro tra la piccola fanciulla di Nazareth, fecondata nel grembo dal Signore della gioia, e la cugina anziana di Ain Karim. Due ventri lievitati, uno più dell'altro, e in essi i cuoricini palpitanti di figli che contagiano gioia al solo incrociarsi.
Un sussulto: questo ha sentito nel proprio corpo e nel proprio intimo Elisabetta. Erano le membra ormai formate del piccolo Giovanni che spingevano dal desiderio di aderire all'Atteso, giunto fra le montagne di Gerusalemme anticipando la visita di salvezza che più tardi susciterà l'esultanza di tutto il popolo. Un sussulto dal sapore profetico. È come se volesse balzar fuori dal grembo materno più rapidamente, il Predecessore del Messia, per dire a tutti che era giunto il tempo, anzi il Figlio. La gioia ha questo effetto: fa saltar fuori dalle paure, dalle tristezze, dalle resistenze. E spinge in avanti il gusto della vita. Un gradino in più verso il Paradiso, per il piccolo, che coinvolge la madre in questa benedizione fatta di carne e di Spirito.
La gioia, infatti, unifica, perché trasfigura, trasforma: spegne le ombre e lascia penetrare la luce, che permette il passo e l'incontro. Così è anche per la Vergine Madre, che sente finalmente di poter esplicitare in canto il seme di gioia accolto fin dalla visita del messaggero celeste. Ne ha già attraversati tanti, di scalini gioiosi, la giovane donna scelta dall'Altissimo, e lo ha fatto meditando nel suo cuore quanto la sorpresa di Dio le ha riservato nella propria umile storia. Ha meditato mentre percorreva la strada impervia dalla Galilea verso sud, e nel cammino, partecipando dell'arte della carovana che nel deserto dell'esilio ha segnato le vene profonde di Israele, ha lasciato fermentare la bellezza del dono. La gioia è risposta a un dono, riconosciuto, accolto e messo nelle condizioni di germogliare.
Così Maria canta un'apertura, in uno sguardo che oltrepassa i confini della propria esistenza e coinvolge la gente. In particolare, la gioia dona occhi sintonizzati con le vibrazioni divine, e si accorge che le meraviglie compiute dal Signore riguardano soprattutto i più deboli, i poveri, gli umili. L'umiltà è grazia, della quale però, se è in noi, è meglio non accorgersi, per non rovinarla. La gioia, invece, pure frutto di una consegna immeritata, va colta e, nel sintonizzarsi con essa, si impara a decentrarsi. Così Maria è incantata perché il suo Sposo si prende cura degli ultimi: sono loro i Suoi prediletti.
Il sobbalzo della gioia, quindi, spinge verso l'altro. Se nell'intimo abita la vera gioia, non si rimane abbacchiati e aggrappati alle proprie rivendicazioni, ma tanto meno ai propri esiti o ai propri progetti, che tirano giù anziché sollevare. Un gradino dopo l'altro, nella gioia umile, ci si rivolge a nostra volta a chi ha bisogno di gioia. E si impara a stare dentro il suo mare anche quando il drammatico mistero del dolore bussa alla nostra porta.
Così farà Giovanni Battista. Così farà Maria. Senza nessuna anestesia alla vita, la spada attraverserà l'anima della Madre, e separerà dal corpo la testa del profeta. Sofferenza e morte non sono cancellate dai sussulti della gioia. Piuttosto, a questi germogli spinosi del giardino del mondo, posti a metà tra l'insidia e l'opportunità, la gioia fornisce un terreno profondo, profondissimo perché si trasformino in vuoto fecondo. Scava, il dolore. Ed è questa esperienza di sprofondamento nell'intimo che Maria, e con lei Giovanni e tutti noi, può scendere per prendere la rincorsa, in vista di un sobbalzo ancor più vigoroso. Si lascia penetrare, infatti, la Vergine dall'amore che genera esultanza anche nei meandri ombrosi e incerti della propria debolezza, e impara a vibrare dei dolori del mondo, dello stesso popolo di piccoli e umili che ha cantato nelle prime esuberanze di sposa prediletta.
Da laggiù, dai sentieri nascosti della propria umanità visitata dal Santo, ecco che è possibile risalire con l'intensità luminosa del Risorto per essere trasportata alla pienezza della gioia. Chi, come Maria, non ha mai evitato di coinvolgersi nelle vicende proprie e altrui dell'inevitabile tensione tra limite e desiderio, viene innalzato alla gloria del Cielo, che non è altro che la trasfigurazione di ogni gioia terrena.
L'assunzione al Cielo, insomma, più che un esercizio di trasporto esterno di angeli facchini, è piuttosto l'ultimo inevitabile e meraviglioso sobbalzo di chi ha lasciato che la gioia scoppiettasse lieve e pacificante anche nei rivoli più dolorosi della propria umanità. Solo Maria c'è riuscita - per grazia - in tutta la sua pienezza. Ma al Cielo potremo arrivarci anche noi, dopo qualche inciampo sui gradini della gioia e l'inevitabile passaggio della trasformazione del corpo consumato.