Omelia (18-08-2020) |
don Giampaolo Centofanti |
Solo la grazia può attirarci a Dio, accendere in noi la sete di Lui e dunque orientarci a lasciare che prenda sempre più il primo posto nella nostra vita. Siccome è un dono di grazia non possiamo attribuire a noi stessi alcun merito nella sequela. Quando invece lo facciamo allora giudichiamo gli altri che ci sembra non lo facciano o non lo facciano così tanto come noi. Cadiamo in un grande inganno, diventiamo ricchi di noi stessi mentre magari una persona che ha ricevuto meno grazie a modo suo è più vicina a Dio. Impossessarci della grazia ricevuta è un rischio grave per esempio per le guide, che possono divenire meno disponibili a lasciarsi continuamente rinnovare, anche nella mentalità, da Gesù. Si può diventare in qualche modo e misura come certi farisei del tempo di Cristo, che sapevano tutto loro. Per questo Gesù descrive un lungo elenco di cose da lasciare. È un cammino lasciarsi unire a Dio e spogliare di tutto, in ogni minimo movimento del cuore. Ed è lì, nel profondo del cuore, dove spesso il mondo esterno nemmeno lontanamente si avvede, che entra o meno la vita vera. Gesù spesso evidenzia questo, non è la fama esteriore che conta. In paradiso ne vedremo di tutti i colori quanto a sovvertimento di valutazioni. Si può essere persone buone sì, ma l'io può continuare in qualcosa a prevalere su Dio. Magari ciò avviene inconsapevolmente ma una conversione sincera tendenzialmente ci conduce verso un rinnovamento. Da tutto ciò emerge che la povertà è percepire che senza Dio non possiamo nulla, affidarci da piccoli al suo amore meraviglioso di Padre, senza giudicare nessuno. Sperimentare l'impossibilità è dunque talora una grazia: impossibile all'uomo ma tutto è possibile a Dio. |