Omelia (20-08-2020)
don Giampaolo Centofanti


Si desidera la propria realizzazione, per essa si può chiedere aiuto a Dio ma si può rischiare di chiudersi nelle proprie vie che complicano l'opera che il Signore sta compiendo per rispondere ai nostri bisogni. Così il nostro diventa un affannarci ed un restare poi delusi. Dio ci dona tante cose belle ma in un cammino nello Spirito perché fuori di Esso ogni cosa rivela specie nel tempo il suo vuoto. La parabola delle nozze ci spiega appunto la tristezza di attaccarsi alle cose perdendo l'amore profondo, sponsale, quello che riempie la vita. E questo amore è un dono da accogliere non un opera nostra. Benché poi il racconto di Gesù proprio per evitare interpretazioni errate evidenzia che l'invito è rivolto a buoni e cattivi ugualmente si comnenta talora che l'uomo senza abito nuziale è un cattivo. Il punto è invece semplicemente che quell'uomo è andato alle nozze col proprio abito, ossia attribuendo a se stesso il merito di quella partecipazione, vivendola con criteri propri e non lasciandosi portare da Dio. Ci si può affaticare persino sulla via del bene ripiegati su sé stessi. Oggi per esempio si parla di solidarietà, di incontro ma si può trattare di un fare in varia misura svuotante e omologante. Se infatti non si aiutano le persone a crescere fin dalla scuola nella identità liberamente cercata e nello scambio con le altre perché poi si pretende una maturità che non viene aiutata? Quella falsa solidarietà può diventare un metodo sottile per spegnere le persone in un pensiero unico che le svuota e le rende meri individui manipolabili persi in una massa anonima. Non si aiuta l'opera di Dio ma poi si pretendono certi frutti allora truccati. Ecco perché i servi vengono addirittura insultati e uccisi per una cosa così bella come l'invito alle nozze. Vi sono interessi che contrastano alla radice con l'opera di Dio.