Omelia (01-11-2020) |
fr. Massimo Rossi |
Commento su Matteo 5,1-12 Domenica scorsa, ricordate, concludevo la riflessione sul Vangelo rilevando che il tema della gioia è poco presente nelle conversazioni dei cristiani; non perché ciascuno, la gioia, se la vive per conto proprio e non ne parla volentieri in pubblico; ma perché costui, costoro, non la vivono affatto (la gioia), non si permettono di viverla; e, così facendo, danno al Vangelo una valenza negativa, e gli rendono un pessimo servizio. Chi li incontra e ascolta le loro esperienze, non si sentirà incentivato ad imitarne l'esempio... Oggi celebriamo la solennità di Tutti i Santi; e anche oggi dobbiamo fuggire la tentazione di parlare della santità cristiana, pigiando troppo il piede sull'acceleratore del sacrificio, della rinuncia, del dolore e di altre simili amenità.... Curioso, non ci fa paura la fatica, quando dobbiamo affrontare, che so, una salita in bicicletta, una camminata su una ferrata di montagna,.... Chissa' perché, invece, quando si parla di santità, il discorso prende facilmente una piega ‘noir', che non piace, non esalta, non seduce,... Insomma la santità è tutt'al più roba da preti, da suore, da bigotti,... da vecchi. Si fa molta retorica, si dicono sempre le stesse cose,... Uffa, che barba, che noia, che noia, che barba!.... Veniamo alle Letture del giorno, che è meglio. La pagina tratta dall'Apocalisse di san Giovanni presenta la moltitudine dei Santi nell'atto di rendere gloria a Dio, avvolti in vesti candide: uno degli anziani si rivolge allo scrittore ispirato e lo interroga chi siano tutti costoro; ma poi risponde lui stesso: "Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell'Agnello.". Non me ne vogliano i fans dell'Apocalisse: devo onestamente rilevare che la gioia che emana da queste righe è la gioia celeste; una sorte di contrappasso virtuoso rispetto alla ‘grande tribolazioné che i Santi hanno patito durante la loro vicenda terrena. In altre parole, in terra si suda, si soffre le pene dell'inferno, nella speranza che, almeno in Cielo, potremo godere i frutti di tutto quel popò di dolore. A me non è mai piaciuta granché la definizione "valle di lacrime" riferita alla terra, contenuta nella plurisecolare, amatissima Salve Regina. Ma tant'è... Io mi chiedo: presentare la santità in questo modo, presentare il mondo, il nostro mondo, in questo modo non getta forse un'ombra oscura sulla positività del messaggio cristiano? Sto benedetto Vangelo di Cristo, è o non è una Buona Novella, una buona notizia? Che me ne faccio di una Rivelazione che deve - dovrebbe! - orientare la vita presente in funzione di quella futura, ma, intanto, dipinge la storia come l'ecatombe dei giusti? Certo, sono i martiri della fede, coloro che hanno preferito morire piuttosto che venir meno agli obblighi della fede. Ma chi vorrebbe diventare martire, oggi?....bisogna essere un po' masochisti, non trovate? E quelli che non hanno dovuto versare il sangue per Cristo, che non sono dovuti passare per la grande tribolazione,... per loro non c'è posto in paradiso? E sì, perché, interpretando letteralmente il testo, sembra proprio che se non soffri un casino, in Paradiso non ci vai! Sto Paradiso te lo devi proprio guadagnare! È vero che Giovanni non cita il sangue dei martiri, ma quello dell'Agnello... Resta comunque il fatto incontestabile che questa terra è il luogo dove devi tribolare, se vuoi ereditare il Regno dei Cieli. A correggere il tiro, ma solo in parte, ci pensa san Paolo: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci (ri)conosce: perché non ha conosciuto Lui.": dalle parole dell'apostolo dei pagani affiora, in verità, tutta la fatica di vivere la scelta cristiana in questo mondo; tale scelta non solo è (una scelta) minoritaria, e non riscuote alcun favore dalla massa; ma è addirittura (scelta) perseguitata, punita, vilipesa,... Morale della favola: anche per Paolo, diventare cristiani non conviene... A meno che... ...non si accetti il rischio di scoprire la forza, la virtus, dell'amore di Dio, un amore tale da superare in valore assoluto la violenza, il risentimento e l'ostilità del secolo. Proviamo a vedere il Vangelo del giorno, se almeno Matteo è in grado di suscitare qualche consenso in più tra i lontani, e risvegliare la passione dei vicini, di noi fedeli: la pagina la conosciamo a memoria, è l'incipit del capitolo 5, il discorso della montagna, le Beatitudini. Ad una lettura veloce e un po' superficiale, neanche il Vangelo è in grado di scoraggiare la visuale pessimista di taluni cristiani - molti - circa l'avvenire immediato che attende i credenti, rimandando ad un'altra vita le gioie della fede. Ritorna la questione della ricompensa al male ingiustamente sofferto che riceveremo sì, ma soltanto in Cielo. Che questo discorso (sulla ricompensa) abbia un peso non indifferente ai fini della scelta di seguire Cristo oppure no, lo testimonia l'obiezione di Pietro, che troviamo al capitolo 19, sempre di Matteo: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo? E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi.»." (vv.27-30). Dovremo rassegnarci alla logica di intendere la fede e la religione come l'oppio dei popoli di Marxiana memoria, secondo la quale si convince la povera gente a sopportar vessazioni d'ogni tipo senza protestare, con la promessa del premio eterno? Deve esserci una via di uscita! Vogliamo cercarla insieme? |