Omelia (13-10-2003) |
Paolo Curtaz |
Troppe volte dettiamo delle condizioni a Dio: siamo noi a dirgli cosa deve fare per esistere; e in questa rappresentzaione di Dio c'è, il più delle volte, il bisogno del segno eclatante, del miracolo, anzi leghiamo il mondo del miracolo al mondo del divino, quasi come se Dio dovesse stravolgere ciò che va benissimo – la natura, il creato, l'ordine della creazione – per dimostrare di esistere. Gesù rifiuta questa visione miracolistica su se e su Dio; anzi: appare piuttosto urtato da questo atteggiamento – peraltro ancora molto diffuso ai nostri giorni: c'è sempre il bisogno di correre dietro le apparizioni e ci invita, piuttosto, ad imitare l'atteggiamento degli abitanti di Ninive e della regina del sud. I primi si convertirono alla predicazione di un profeta – e quanti profeti inascoltati calpestano ancora le strade della nostra città! - la seconda fece un lungo viaggio per verificare le notizie sulla immensa saggezza di Salomone. Guardiamo i segni intorno a noi, amici, la voce della predicazione che ascoltiamo ogni domenica e i gesti di bene e di saggezza che troviamo intorno a noi e –soprattutto – sappiamo riconoscere il grande segno di Giona che rimase tre giorni nel ventre della balena così come Gesù rimase tre giorni nel ventre della morte: il segno della Resurrezione, il più grande e definitivo dei segni che ci testimonia che davvero Gesù è il Figlio di Dio. Signore, Maestro, donaci oggi di riconoscere i segni della tua presenza in ciò che faremo, nelle persone che incontreremo, e di stupirci, ancora e sempre, della tua amicizia, perché ben più di Giona c'è qui, ben più di Salomone: il Figlio di Dio incarnato, amico degli uomini che vive con noi nei secoli dei secoli. |