Omelia (01-11-2020)
diac. Vito Calella
Laviamo le nostre vesti nel sangue dell'Agnello in comunione con i santi

Siamo in comunione con tutti i santi.
Oggi il Cristo risuscitato, accolto da noi come l'«Agnello» (Ap 7,9.10.14), è glorificato nella sua comunione con il Padre nello Spirito Santo da «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7,9a). Il bianco candido delle loro vesti, simbolo di «chi ha mani innocenti e cuore puro e non si rivolge agli idoli» (Sal 24, 3) rende lo spettacolo di una visione irradiante luminosità: «Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani» (Ap 7,9b). Siamo in comunione con tutti i santi, a partire dai martiri che ebbero il coraggio di morire pur di testimoniare la gioia di aver scelto Gesù Cristo come via, verità e vita.
Il signficato del sangue dell'Agnello.
È strano per la nostra mentalità scientifica immaginare come quelle vesti fossero di un candido biancore perché «lavate nel sangue dell'Agnello» (Ap 7,14b), essendo stati profondamente segnati «dalla grande tribolazione» (Ap 7,14a). Lo sguardo umano superficiale vede solo bruttura e ribrezzo nel corpo pendente e crocifisso di Gesù, l'«Agnello» immolato, imbrattato dal rosso del sangue fuoriuscito dalle sue vere ferite prodotte dalla grande tribolazione della sua passione. Ugualmente fa sanguinare il cuore la vista umana di ogni servo sofferente inesorabilmente schiacciato dalla grande tribolazione di una malattia o di una ingiustizia e dall'inferno dell'isolamento, cioè dalla ancor più grande tribolazione della totale negazione dell'essenziale che fa la pienezza della vita: la relazione di comunione, di unità nella carità.
Condividiamo, in questo duro tempo di pandemia, la dura crocifissione di chi muore lentamente di isolamento per dover essere protetto dal contagio.
Il «sangue dell'Agnello» di cui parla il libro dell'Apocalisse lo vediamo credendolo nel calice del vino eucaristico, trasfigurato in questa bevanda alcolica simbolo della gioia di una festa di nozze.
Il sangue di Cristo nel calice posto sull'altare accanto al corpo di Cristo, nelle specie del vino e del pane azzimo ci aiutano a comprendere che cosa sia la santità.
Andiamo oltre la visione cruenta e raccapricciante di una macchia di sangue che, invece di rendere un vestito bianco e candido, lo rende impresentabile, da buttare. Il sangue di Cristo presente nel calice del vino è sì la memoria del vero sangue di Gesù crocifisso, non offerto al Padre, ma a ciascuno di noi, per la nostra salvezza, per volontà del Padre, senza aver mai rotto la sua comunione filiale e fiduciosa, anche nell'ora della morte.
Il «sangue dell'Agnello» è qui ed ora per noi simbolo della vita piena, richiamo alla gratuità dell'amore divino, rappresenta il dono dello Spirito Santo per tutta l'umanità.
Mentre il sangue scorreva dal cuore trafitto del corpo di Gesù crocifisso, quel sangue versato, da segno tragico di epilogo violento di un giovane profeta diventava rivelazione della nuova ed eterna alleanza del Padre con tutta l'umanità garantita dalla comunione mai infranta del Figlio di Dio con il Padre, anche nell'ora più drammatica della grande tribolazione del rimanere inchiodato e solo, apparentemente abbandonato da tutti, e anche dal Padre. Gesù aveva consegnato nelle mani del Padre il suo spirito, aveva vinto la tentazione di sentirsi abbandonato, aveva mantenuto la sua comunione fino all'ultimo respiro. Quel sangue sgorgato dal cuore trafitto fu la comunione mai infranta del Figlio unito al Padre che realizza l'eterna e nuova comunione del Padre unito al Figlio nello Spirito Santo con tutta l'umanità e con tutta l'opera meravigliosa della creazione. Quella comunione rimasta salda anche nell'ora della grande tribolazione della croce era donata, e continua ad essere effusa nel cuore di tutti, mediante la presenza vivificante, unitiva, liberatrice, consolatrice dello Spirito Santo.
Il significato del lavare le nostre vesti nel sangue dell'Agnello.
Lavare le vesti della nostra esistenza nel sangue dell'Agnello significa scoprire il dono di questa comunione mai infranta del Figlio con il Padre, forza di vita eterna, che è offerta gratuitamente, già presente in ciascuno di noi.
È il dono dello Spirito Santo che ci rende figli amati del Padre nel Figlio suo Gesù Cristo, il risuscitato. L'esperienza profonda di fede dell'apostolo Giovanni diventa per noi Parola di Dio che ci riempie di consolazione: «Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (Gv 3,1).
Le due esperienze essenziali dalle beatitudini del Regno.
È proprio vero che l'esistenza gettata nella storia di questo mondo riserva prima o poi per ciascuno di noi una qualche esperienza di grande tribolazione, di vera persecuzione, di tanta fatica e vero dolore.
Le beatitudini proclamate da Gesù sono la carta di identità del cristiano reso candido nella sua esistenza dal dono dello Spirito Santo.
Esse indicano due esperienze intrecciate fra di loro che potrebbero essere la sintesi dell'amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze e dell'amare il prossimo come noi stessi.
La prima esperienza, cartina tornasole per verificare qui ed ora la qualità della nostra consegna fiduciosa al Padre unito al Figlio nello Spirito Santo è quella della povertà in spirito o "esperienza dell'umiltà". «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Se decidiamo di vivere giorno per giorno da figli amati del Padre impariamo a rivestirci di umiltà, il che significa tre cose.
La prima è l'esperienza del pianto: ci rimanda a tutte le perdite o lutti che siamo inevitabilmente costretti a subire nel corso del nostro camminare giorno dopo giorno. Ogni perdita è una crisi. Ogni crisi ci fa toccare con mano la vulnerabilità e la fragilità della nostra personale condizione umana e prepara la nostra coscienza e la nostra libertà a renderci consapevoli di non poter mai bastare a noi stessi confidando unicamente nelle nostre forze, nelle nostre capacità. Ogni dolorosa esperienza di lutto, di pianto, è come se il nostro cuore si svuotasse, diventasse un fragilissimo vaso di terracotta sempre più disposto a riconoscere ed accogliere il dono già disponibile della comunione del Padre. Più diventiamo consapevoli della nostra condizione di fragilità e vulnerabilità, più cresce in ciascuno di noi il senso di "non appartenenza". Diventiamo miti, spossessati della terra. Cioè ci sentiamo pronti a lasciare ogni tipo di legame del nostro cuore con qualsiasi sicurezza proveniente da cose o persone che ci circondano. Questa libertà interiore, coltivata nel silenzio della preghiera del cuore, ci fa guardare alla vita e a tutte le nostre relazioni con uno sguardo rispettoso. Viviamo consapevoli che "tutto è dono e nulla ci appartiene", viviamo di gratitudine per disporci ad essere, con la nostra corporeità vivente, dono di gratuità per tutti. Ci sentiamo avvolti da una tessitura di relazioni che nella nostra situazione di povertà e vulnerabilità, accettata, diventano segno di una Presenza provvidente che ci accompagna, ci sostiene, ci protegge, ci guida, soprattutto nelle dolorose esperienze di lutto che stiamo attraversando. Impariamo a rispettare profondamente l'altro, senza che esso diventi un possesso legittimo da usare per salvaguardare unicamente il nostro "io". Ma non basta. La gratitudine perché tutto è dono ci chiede di essere dono gratuito per gli altri anche quando gli altri non corrispondono al dono. Come Gesù nella sua passione e morte di croce, siamo chiamati a perseverare nel farci dono anche quando tutto sembrerà crollare addosso in modo insensato, assurdo, duro da sopportare. La fame e sete di giustizia imperverseranno mettendo a dura prova la consapevolezza di essere figli amati del Padre. Ma la fedeltà alla forza della gratuità dell'amore di cui diventiamo strumento consegnato al Padre, sua fonte, sarà ricompensata dalla sazietà di vita eterna che è il nostro esserci in pienezza nello stato di comunione anche nel buio della tribolazione. Essa, o la persecuzione, accompagnano la nostra esistenza.
Infatti la seconda esperienza, cartina tornasole per verificare la qualità delle nostre relazioni con gli altri, è la dura lotta, è la persecuzione a causa della giustizia del Regno del Padre come unica via per vivere autenticamente la fratellanza universale: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10).
Fino all'ultimo istante della nostra vita, il nostro agire ricolmo di gratitudine per sentirci figli amati del Padre nella nostra condizione di fragilità, trasformato consapevolmente nell'agire gratuito del nostro donarci agli altri con un esserci da misericordiosi, rispettosi e pacificanti verso il prossimo e anche verso qualunque cosa, o pianta o animale della natura creata, sarà condizionato dal nostro egoismo e dalle forze demoniache presenti nella cultura dominante. Il nostro egoismo e la cultura dominante ci spingeranno continuamente ad essere indifferenti verso l'altro che soffre, giacente sul ciglio della strada di Gerico della nostra esistenza; ci condizioneranno ad essere impulsivi e consumatori di bisogni da appagare per soddisfare noi stessi, indotti alla logica dell'usa e getta della cultura dello scarto, mettendo a rischio la purezza del rispetto; tenderanno a toglierci la speranza di vedere un mondo di pace e giustizia mediante le gocce d'oceano delle nostre tessiture pazienti di riconciliazione, da veri artigiani di armonia.
La comunione dei santi, oggi, non ci distolga dal desiderio profondo di tendere alla santità, non confidando in noi stessi, ma lavando le nostre vesti nel sangue dell'Agnello: confidando nello Spirito Santo in noi, garanzia della nostra comunione con il Padre unito al Figlio e della nostra comunione di gratuità con l'altro, chiunque esso sia, a partire dai più sofferenti, qualunque cosa sia, a partire dal rispetto grato verso tutto ciò che ci circonda.