Il capitolo 6 dell'Apocalisse si è chiuso con l'apertura del sesto sigillo che portò a grandi terremoti e a sconvolgimenti di fronte ai quali la domanda che ci si pone è: chi può resistere?
I venti dell'ira stanno per abbattersi sulla creazione, ma l'angelo dell'Oriente intima ai quattro angeli di trattenere i servi di Dio, perché i giusti siano "contrassegnati sulla fronte, con il sigillo del Dio vivente". Si parla di un numero di 144.000 eletti che viene segnato e in tal modo preservato dall'ira divina.
Su questo numero i testimoni di Geova affermano che gli eletti in tutto sono solo in quel quantitativo. Il numero dei "segnati" provenienti da tutte le tribù d'Israele è simbolico, non va considerato in maniera quantitativa, ma qualitativa perché il quadrato di dodici moltiplicato per mille è la cifra dell'immensità, della pienezza.
Giovanni considera tra gli eletti non solo il popolo di Israele, come può sembrare in un primo momento. Tra questi si aggiungono anche quelli che provengono da ogni razza, lingua, popolo e nazione. Risaltano coloro che sono passati attraversato la grande tribolazione ovvero coloro che hanno "lavato le loro vesti nel Sangue dell'Agnello".
Teniamo conto del contesto storico delle comunità cristiane. L'Apocalisse è un testo di fine I sec. d.C., ovvero quando sotto il regno di Domiziano, le scelte dell'impero romano, stavano portando a reazioni piuttosto vivaci tra i cristiani. Negli ultimi anni del Regno di Nerone la persecuzione si era fatta sentire e apostoli come Pietro e Paolo andarono incontro al martirio e con loro tutti quei cristiani che si mostravano refrattari a sottostare alla venerazione dell'imperatore. Andava diffondendosi, in particolare a Efeso, una sorta di paganesimo intellettuale con forti connotazioni di esoterismo e di magia. Nel 70 d.C. abbiamo la caduta di Gerusalemme e il fariseismo riandava ad organizzarsi ed inevitabilmente i cristiani dovevano scegliere da che parte stare. La realtà della persecuzione diviene ontologica per il cristiano.
Un monito per noi tutti perché la santità è vivere la realtà della incomprensione. Essere santi comporta l'essere martiri. Non c'è richiesto un martirio cruento, ma quello della quotidianità dove occorre difendere le ragioni della fede in un ambiente sempre più ostile nei confronti dei cristiani.
In un mondo che sembra aver perso l'entusiasmo della fede l'eroicità di un don Roberto Malgesini a Como, lo scorso 15 settembre, ci ricorda che portare il nome di cristiani è qualcosa di impegnativo. Non può limitarsi il nostro essere discepoli di Gesù al solo momento importante della Messa, ma deve coinvolgere tutta la nostra esistenza anche quando questa può essere soggetta a incomprensione. Dobbiamo vivere la nostra appartenenza a Cristo nella dimensione della gioia perché siamo figli di Dio e la seconda lettura lo esprime bene.
Ci viene espresso in pochi versetti una mirabile sintesi del nostro cammino: la strada consiste nel riconoscersi figli di Dio e la meta è il vederlo così come Egli è. Siamo tutti in cammino verso questo traguardo e dobbiamo raggiungerlo con il sentimento di gioia.
Mi piace sempre pensare a San Domenico Savio cresciuto nell'oratorio di Valdocco con Don Bosco. Un bigliettino del giovane ragazzo al sacerdote sollecitava a un invito pressante: Voglio diventare Santo. La risposta di don Bosco non si fece attendere: "Ti voglio regalare la formula della santità. Stai bene attento.
Primo: allegria. Ciò che ti turba e ti toglie la pace non viene dal Signore.
Secondo: doveri di studio e di pietà. Attenzione a scuola, impegno nello studio, impegno nella preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, per farti lodare, ma per amore del Signore e per diventare un vero uomo.
Terzo: far del bene agli altri. Aiuta i tuoi compagni sempre, anche se ti costa sacrificio. La santità è tutta qui concludeva il Santo dei giovani.
Un invito fatto a un ragazzo, ma è per tutti. Il terzo ingrediente per diventare Santi, per un adulto, si amplia certo all'ambiente di lavoro e quello familiare, ma non si scosta di molto a quello che don Bosco esprime. Il secondo ci esorta a vivere il nostro impegno lavorativo in maniera onesta.
Il brano evangelico che la Liturgia ci invita a considerare è quello delle beatitudini. Gesù traccia la via della santità a inizio del suo ministero pubblico dopo aver chiamato i suoi nella sequela. Egli offre un percorso per vivere in pienezza l'essere suo discepolo.
La vita del cristiano è chiamata, come abbiamo detto, alla realtà dell'incomprensione perché deve vivere un percorso differente rispetto al mondo e alla sua visione. In queste beatitudini respiriamo il paradosso del vivere cristiano che è sicuramente opposto alla realtà mondana. I santi ci dimostrano che questo è possibile.
Molto spesso abbiamo in mente i santi che la Chiesa ci propone. Figure eroiche che ci vengono offerte alla nostra venerazione per l'eroicità esemplare della loro vita. C'è veramente una schiera di uomini e donne che ci affascinano. E' bello però considerare la gran quantità di coloro che hanno vissuto la santità nascosta.
Sembra che viviamo in un mondo che ha perso Dio eppure proprio Lui molto spesso mi ha sorpreso e penso a quante persone nella mia vita mi ha messo davanti i cui nomi non sono scritti nei breviari, ma che ora contemplano la gloria del Signore così come Egli è.
In questa solennità è bello fare memoria grata per queste persone che abbiamo tutti avuto accanto. Essere santi allora possiamo comprendere non diventa impossibile perché questi uomini e queste donne non sono giunti da altri pianeti, ma hanno solcato il terreno come noi.