Omelia (01-11-2020) |
don Luca Garbinetto |
Le beatitudini sono l'apocalisse Apocalisse significa ri-velazione. Togliere il velo vuol dire mostrare ciò che è nascosto. Si svela un'opera d'arte custodita sotto un telo, si apre un volto alla luce del sole quando è protetto da abiti e tessuti. Nella Sacra Scrittura, si squarcia soprattutto il velo del tempio, che divide il "Santo dei Santi", luogo per eccellenza della presenza di Dio, dal resto dell'edificio e dalla vita dell'uomo. Dunque, Apocalisse è ri-velazione della verità, possibilità della realtà autentica: incontro, intreccio, assimilazione dell'umano nel divino. E se è cosa di Dio, l'Apocalisse deve essere questione di sconvolgimenti e cataclismi. Perché Dio è sempre novità, perché Egli fa nuove tutte le cose. Nulla rimane come prima se Dio passa. Sarà per questo che a volte ci facciamo una idea del Cielo - la Casa di Dio - così lontana dalla nostra esperienza ordinaria. In fondo, si tratta di un atto di rispetto verso l'Altissimo. Anche se così rischiamo di tenerlo troppo lontano, di non permettergli di attraversare la nostra esistenza. Quando invece il vero stravolgimento sta proprio qui: Egli è entrato nel mondo e l'ha penetrato al punto da non separarsene mai più. Lo esprime bene Gesù, volto del Padre manifesto all'umanità, esplicitando il mistero nel sentiero delle beatitudini. I "beati" condividono già una porzione di Paradiso, perché la vera felicità non può essere frutto soltanto degli sforzi del mondo. Abbiamo abbastanza esperienza nei secoli per essercene accorti insieme. La beatitudine viene dall'Alto, e manifesta la bellezza di questa venuta. L'inabitazione di Dio nell'uomo ha il sapore gustoso della pienezza, della consolazione, della misericordia, dello sguardo limpido e trasparente sull'universo. Tutto questo è sconvolgente, inaudito dentro una dinamica puramente terrena. Le beatitudini, nel loro paradossale ribaltamento della logica umana, hanno il sapore del cataclisma. Le beatitudini sono la vera Apocalisse, perché chi le vive rivela il volto del Cielo, il volto di Dio. E lo fa adesso, su questa terra, anticipando la venuta definitiva del Figlio dell'Uomo. Dunque sono un futuro che si fa presente, sono un affaccio all'eterno. Chi entra nello spirito delle beatitudini affronta l'esistenza umana con una marcia diversa. Nulla può far paura a chi ha imparato a cogliere le tracce dell'Infinito anche nell'assurdo della limitatezza terrena, che è la violenza e la persecuzione. Tutto ciò è reso possibile dal consentire a Dio di entrare fino al "Santo dei Santi" della nostra persona: il cuore. È lì, dove si incrociano le contraddizioni e i conflitti della nostra interiorità, dove si amplificano i desideri e si insinuano i timori e le vergogne, che lo Spirito opera la pacificazione e l'unificazione. Il dettaglio non è scontato. Bisogna infatti riconoscere che il cataclisma dell'Apocalisse non è questione di eventi esterni, di forze incontrollate che piovono dal cielo. Lo sconvolgimento avviene dentro di noi. La beatitudine è esperienza intima di sazietà e di figliolanza, di pienezza e di traboccamento. Da dentro sorgono le forze che spingono a piangere per il dolore del mondo, a guardare con occhi puri, a donare misericordia, a interagire con mitezza e gentilezza, a generare processi di pace e di giustizia. Ed è il cuore della persona che ne riceve in cambio una esperienza autentica di appartenenza a Qualcuno che ama e ricolma di gioia: la fonte della beatitudine è riconosciuta nella figliolanza del regno, quell'identità profonda che fa di tutta l'umanità un'unica famiglia di fratelli e sorelle, "concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2,19). La rivelazione della presenza di Dio nel mondo è opera dunque progressiva e quotidiana, che si mescola dentro le vicende della storia e il succedersi degli accadimenti naturali. L'Apocalisse continua e ancora non si compie totalmente, ma allo stesso tempo perdura e cresce nel susseguirsi dei giorni grazie alla presenza fedele di uomini e donne che accolgono la vocazione alla gioia. Essa è la manifestazione credibile dello Spirito di Dio in noi: la gioia connota il vissuto della santità. Di fatto, santo è colui che viene attirato nella zona di pertinenza di Dio. La santità è presa di parte, affiliazione a un rapporto e a una causa. Dio si impossessa del cuore del suo prediletto, perché possa vivere la beatitudine promessa. E tuttavia, questo Dio così sorprendente dimora nel bel mezzo dell'esistenza umana, con tutte le sue sfumature. Santità, quindi, non è più separazione, né patrimonio di pochi privilegiati. È piuttosto contagio, coinvolgimento, trasmissione di un'esperienza d'affettuosa conoscenza: beato è chi ha incontrato Dio, da Lui si è fatto pacificare, in Lui trova costantemente il segreto flusso della gioia. Di quale altra Apocalisse ha bisogno il mondo, oggi, se non della ri-velazione dei motivi della gioia? Beati coloro che sapranno essere docili a questo cataclisma di salvezza. |