Omelia (02-11-2020)
padre Gian Franco Scarpitta
La morte e la vita

Abbiamo dedicato nella giornata di ieri un culto particolare a tutti quei defunti speciali che ci hanno preceduto nel premio celeste dopo aver perseverato nell'eroismo di questa vita, nella conformità a Gesù Cristo e adesso, appagati definitivamente della gloria paradisiaca, intercedono per noi presso il Padre.
La liturgia di oggi, 2 Novembre, ci invita invece a guardare a tutti gli altri defunti e in generale a considerare il tema del trapasso in senso cristiano, considerando che esso è innanzitutto un passaggio necessario, che cambierà le condizioni della vita presente e per il quale è inevitabile che non ci troviamo più nella medesima condizione del presente.
Osserva Mons. Sanna che la morte è come il sole: non la si vede in senso diretto e non se ne fa esperienza se non attraverso i suoi effetti, primo fra tutti la relazione del defungere con la vita che abbiamo trascorso Non si guarda mai infatti alla morte come prospettiva in sé, ma la si concepisce generalmente in rapporto alla fine del corpo; quando facciamo esperienza di un lutto non piangiamo mai per il lutto in se stesso, ossia per la morte del nostro caro, ma perché consideriamo il suo trapasso in rapporto alla sua vita con noi: abbiamo perso un amico con cui interagivamo, un papà che è sempre stato affettuoso, un collega simpatico... Insomma si fa esperienza della morte nella sua relazione alla vita e per ciò stesso il morire ci fa comprendere la vita, come il temporale ci fa comprendere il bel tempo.
Per questo è importante interrogarci sul "prima" della morte, ossia su come possiamo qualificare al meglio la nostra vita, anche considerando che essa (materialmente parlando) è una sola in un tempo relativamente breve e occorre impiegare tutti i nostri i giorni in modo da non doverci rammaricare alla fine di averli sprecati.
Anche a proposito della rivelazione di Dio in Gesù Cristo siamo invitati a considerare la brevità del nostro tempo perché guardando, come si diceva, alla nostra morte rapportata alla vita al momento del trapasso possiamo rasserenarci di aver vissuto appieno il nostro tempo nella continua ricerca della volontà di Dio. Se si vive una volta sola, occorre fare in modo che le nostre azioni abbiano una grossa eco per coloro che restano e abbiano valore di eternità. Del resto anche la Scrittura ammonisce che "E' stabilito per gli omini di morire una volta sola, dopo di che viene il giudizio"(Eb 9, 27) e per ciò stesso occorre che viviamo il presente in modo che esso lasci le sue impronte per l'eternità.
Secondo l'insegnamento cristiano, occorre anche vivere il presente in modo da guadagnare l'eternità, in modo che la vita non finisca ma si prolunghi in quella dimensione conforme alla promessa di Dio che si chiama paradiso e che dischiude le porte a che possiamo vivere per sempre.. Come ebbe a dire Bonheffer un istante prima che i colpi d'arma da fuoco gli perforassero il cuore nel lager nazista: "E' la fine... Per me è l'inizio della vita". La fede e la speranza in Cristo che si trasformano in carità operosa e disinvolta sono matrice di immortalità già in questa vita, prolungano la vita nel ricordo che i fratelli avranno di noi ma soprattutto aprono le porte alla vera Vita nel destino che ci attende quando Cristo stesso, vera Vita, ci verrà incontro. Chi vive in Cristo, anche se muore fisicamente una volta sola, è destinato a vivere per sempre, secondo la sua stessa morte e risurrezione e secondo la sua promessa "Io sono la via, la verità e la vita."
In ragione di questo adesso ci troviamo a riflettere sul destino dei trapassati che non hanno ancora raggiunto, a differenza dei cosiddetti Santi, la dimensione di gloria definitiva.
Non possiamo esimerci dal considerare la possibile realtà di quanti hanno preferito escludere Dio nella condotta di questo mondo per persistere ostinati nel peccato, che già adesso costituisce la morte come illusione di vita. Costoro hanno deliberatamente scelto di autoescludersi dalla Vita del Risorto per autocondannarsi a quella pena conseguente di eterna privazione di Dio che chiamiamo Inferno. Esso è purtroppo una realtà destinata agli empi e costituisce la risultante dell'aver voluto vivere da morti la vita. Non ci è dato sapere con assoluta certezza quante e quali anime siano precipitate in questa macabra realtà di autocondanna perché non possiamo sostituirci a Dio quanto al giudizio sulla retribuzione dell'empio. Oltretutto occorre sempre confidare nella misericordia di Dio Padre a cui nulla è impossibile perché ci si possa salvare anche al di là del trapasso terreno e a prescindere dalle nostre deliberazioni soggettive. L'amore di Dio valica il nostro peccato e se Cristo suo Figlio, una volta spirato sulla croce ha saputo riscattare dalla morte coloro che non avevano creduto ed erano prigionieri negli inferi (1Pt 3, 18 - 20) nella sua estrema bontà e condiscendenza, ha il potere di preservarci dalla pena anche dopo la morte. Ciononostante non possiamo negare l'esistenza di questa realtà triste e ottenebrante peraltro attestata dalle Scritture.
Possiamo tuttavia pregare e confidare che i nostri defunti possano salvarsi ancora "come passando attraverso un fuoco (1Cor 3, 15), cioè avvalendosi di una possibilità di purificazione ultraterrena nella quale poter estinguere i residuati di colpa per poi essere mondi e puri e in grado di poter accedere alla gloria definitiva..
Fra Inferno e Paradiso vi è insomma una dimensione intermedia che consente alle anime dei nostri cari di fare ulteriore esperienza dell'amore del Signore che tutto dispone affinché si possano ottenere le condizioni di salvezza anche al di la del decesso.
Ad eccezione di coloro che consideriamo Santi, complice la struttura globale di peccato che contamina il mondo e la realtà, difficilmente l'uomo è in grado di trovarsi al momento della morte talmente incontaminato da essere "idoneo" e appropriato alla gloria paradisiaca e nonostante gli strumenti di grazia sussistenti in questa vita, è inevitabile che si giunga al termine dell'esistenza terrena con deplorevoli scorie personali di peccato. Ma la misericordia Dio, che non sarebbe tale se così non avesse agito, ha predisposto il Purgatorio perché da questa situazione di impurità ci si possa liberare in modo da poter guadagnare la salvezza nonostante le nostre imperfezioni e proprio questo è il significato della nostra presenza odierna nelle chiese e nei cimiteri.
Soffermandoci davanti alle lapidi e agli epitaffi e collocando fiori e lumini votivi, esterniamo il legittimo affetto nei loro confronti e ci sentiamo rinfrancati dalla consapevolezza di non averli dimenticati e per ciò stesso di sentirceli ancora vivi. E' bello poter percorrere serenamente i viali del cimitero cittadino per contemplare i piccoli monumenti marmorei che racchiudono i resti mortali dei nostri defunti e dedicare loro un pensiero secondo le nostre sensibilità personali, ma è ancora più esaltante ravvivare la comunione con loro per mezzo delle preghiere, di Messe di suffragio e con le opere di carità, essendo proprio queste a guadagnare la vera vita a coloro che spesso consideriamo non più fra noi. Poter concedere loro assistenza orante è anzi un ulteriore beneficio che Dio stesso concede anche a noi, perché possiamo consentire ai nostri cari di estinguere con maggiore costanza e speditezza le loro pene purgatoriali ottenendo così che al più presto raggiungano la gloria eterna. Facendo cosi della morte la piena vita.