Omelia (23-10-2003) |
Paolo Curtaz |
Vangelo scomodo, al solito, per insegnarci a non riposare, a non stravolgere il Vangelo come troppe volte abbiamo fatto, a non infiorarlo e zuccherarlo fino a renderlo immangiabile. Il cristiano come un pio devoto con lo sguardo rivolto al cielo? Ma dove! La fede come anestetico? Ma quando! Il cristiano animale da sacrestia complessato e timido? Macché! Gesù porta il fuoco e la divisione, la sua parola è tagliente come spada a doppio taglio, che obbliga a verità. Verità non fanatica e guerriera, no, per carità, ma adulta e virile, posata e meditata. Essere cristiani, almeno un poco, costa, e il Signore lo sa e ci invita a prenderne coscienza; se non ho mai subito una presa in giro o uno sguardo di commiserazione per la mia fede significa solo due cose: o vivo in un monastero o proprio non si vede che sono cristiano. La comunità a cui si rivolge Luca già sperimenta questa violenza: le prime comunità cristiane vengono estromesse dalle comunità ebraiche, scomunicate e questo crea scissione e ferite profonde. Oggi, sempre di più assistiamo a situazioni simili: figli credenti che subiscono la pressione di genitori disillusi e acidi, giovani che scelgono di consacrare la loro vita presi per pazzi, genitori preoccupati per figli che – invece di rincretinire davanti alla play station – dedicdano il pomeriggio ai ragazzi dell'oratorio. Cose viste, amici, non inevntate. Coraggio: questo, sempre di più, richiede determinazione e passione, sempre nella mite logica del vangelo. Essere discepoli, Signore, costa, alle volte. Donaci di fare un'esperienza così travolgente del tuo amore da non lasciarci mai allontanare da te che sei l'unica fonte di bene. |