Omelia (26-10-2003)
Paolo Curtaz


Il mondo, il nostro mondo, stanco di maestri, ha bisogno di testimoni, nauseato dalle parole e dalle immagini, ha bisogno di gesti autentici e di ascolto. Direi che l'essere missionari è la riprova del nostro cammino di fede: più Cristo ha cambiato la nostra vita e più la nostra missionarietà diventa esplicita, chiara, percepibile. Percepibile da chi ci sta intorno non tanto per i grossi crocifissi appesi al collo, ma per lo stile con cui lavoriamo, accogliamo, ci appassioniamo, sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi. Il cristiano diviene, come Bartimeo, colui che grida che Gesù, il Figlio di Davide, lo ha guarito, incurante dei rimproveri di chi gli sta intorno. Il cristiano racconta, narra, le opere di guarigione interiore che ha avuto, attento più a testimoniare la straordinaria generosità di Cristo che soffermarsi sulle sue povertà. Il cristiano è attento alle mille cecità, ai mille mendicanti di senso e di felicità che incontra sulla nostra strada. Sì, amici, il tempo è gravido e, come Gesù, sentiamo compassione della folla che pare come pecore senza pastore. Nella nostra povertà, nelle nostre debolezze, popolo di riconciliati, non di professionisti del sacro, raccontiamo, mettendoci in gioco, di questo incontro che segna la nostra vita. Solo così Gesù arriverà a scaldare i cuori di altra gente. Non bastano e non devono bastare i preti, a servizio della comunità, certo, ma non detentori dell'annuncio. No: nelle fabbriche, nei bar, nelle discoteche, nelle scuole, nei condomini, la dove la gente vive, soffre, lavora, discute, ama, lì deve esserci un cristiano che illumina con la sua presenza. Lì dev'esserci un cristiano che con i suoi gesti smonti la falsa idea di un Dio noioso e rompiscatole che purtroppo abita la coscienza di molti battezzati, per lasciare spazio alla seducente immagine del Dio di Gesù Cristo, Padre ricco di tenerezza e di perdono. Affinché ogni uomo possa sentirsi dire, come è successo a noi: "Coraggio, alzati, il Signore ti chiama!".