Omelia (01-11-2003)
Paolo Curtaz
Commento Matteo 5,1-12

Oggi è la festa dei santi, la festa del nostro destino, della nostra chiamata. Sì: la Chiesa in cammino, fatta di santi e di peccatori, oggi ci invita a guardare alla verità profonda di ogni uomo. Noi crediamo che ognuno di noi nasce per realizzare un sogno di Dio e che il nostro posto è insostituibile. Il santo è colui che ha scoperto questo destino e l'ha realizzato, meglio: si è lasciato fare, ha lasciato che il Signore prendesse possesso della sua vita. La santità che celebriamo – in verità – è quella di Dio e avvicinandoci a lui ne veniamo come contagiati. Il santo è tutto ciò che di più bello e nobile esiste nella natura umana, in ciascuno di noi esiste questa nostalgia alla santità, a ciò che siamo chiamati a diventare. Certo bisogna riappropriarci dei santi, evitare di far loro quel terribile dispetto di rinchiuderli nelle nicchie e farli diventare delle specie di ministri da corrompere ma – piuttosto – invocare da questi amici di Dio il segreto della loro felicità. Pietro mi dona la sua fede rocciosa, Francesco la sua perfetta letizia, Paolo l'ardore della fede, Teresina la semplicità dell'abbandonarsi a Dio. Così, insieme, noi quaggiù e loro che ora sono colmi, cantiamo la bellezza di Dio in questo giorno che è nostalgia di ciò che potremmo diventare, se solo ci fidessimo!

Tu sei l'unico santo, Signore, e con i santi nostri amici cantiamo la tua gloria, Dio benedetto nei secoli!