Omelia (15-11-2003) |
Paolo Curtaz |
La preghiera, lo sappiamo, non è un'interminabile lista della spesa che rivolgiamo a Dio. Dietro quest'idea, peraltro molto diffusa, c'è un pregiudizio fasullo: io so bene in cosa consiste la mia felicità, Dio – per favore – si adegui. No, amici, è ad un padre che ci rivolgiamo, un padre che conosce in cosa consista la mia felicità. Chiediamo, allora, preghiamo anche chiedendo al Signore dei doni, ma facciamolo rivolgendoci ad un padre, che conosce nel profondo ciascuno di noi. Una sola volta, nel vangelo, Gesù perde le staffe, con i mercanti del tempio perché dietro quell'attività c'è l'idea del mercanteggiare con Dio, corromperlo, convincerlo. No, che diamine, Gesù sa bene che Dio è un padre buono e non può tollerare l'idea di un despota che alle volte ne ha l'umanità. La parabola delle vedova importuna ci ricorda la necessità dell'insistenza nella preghiera. Perché, allora, alle volte non veniamo esauditi nelle nostre richieste? Forse perché ciò che chiediamo non è esattamente il nostro bene, o perché lo chiediamo con non sufficiente insistenza. Animo, allora, amici, che davvero cresca la nostra fede per poter credere che il Signore conosce ciascuno di noi e conserviamola, questa fede, in questi tempi di deserto interiore. Quando verrai, Signore, troverai ancora la fede sulla terra? E' difficile credere, Signore, e il vento freddo dell'odio rischia di spegnere la fiamma della fede che hai acceso nei nostri cuori. Signore, oggi, se verrai, troverai ancora fede sulla terra. La mia, quella della mia comunità. |