Omelia (26-11-2003)
Paolo Curtaz


Quando parliamo di martiri pensiamo sempre alle prime comunità cristiane, ci immaginiamo spietati e corrotti imperatori romani sacrificare inermi famiglie cristiane gettandole in pasto ai leoni. Un calcolo approssimativo ci dice che in questi due millenni circa 40 milioni di cristiani hanno perso la vita con violenza e la metà di essi nell'orribile secolo XXmo. Sì, proprio quello appena trascorso, amici, il secolo dei progressi, della tecnologia, dei viaggi spaziali, quel secolo ha visto una vera e propria vendemmia di cristiani, una carneficina che ha accomunato la sorte di tanti fratelli alle sorti degli ebrei nei campi di sterminio, o dei sacerdoti nei gulag sovietici o nei più recenti integralismi nelle non lontane Filippine o in Somalia. Fratelli e sorelle come noi, discepoli del Maestro Gesù, uccisi senza una ragione, spazzati via dall'odio etnico. Davanti a questi fratelli vogliamo interrogarci sul nostro cristianesimo da poltrona e pantofole, sui nostri troppi e inopportuni silenzi durante le discussioni farcite di pregiudizi, sulle occasioni – evitate – di rendere testimonianza, come chiede oggi il Signore ai suoi discepoli. Testimonianza di amore e di dialogo, di fermezza e di testimonianza, senza fanatismi, ma capace di porre interrogativi, di suscitare brecce nelle incrollabili e pagane certezza della nostra modernità. E se questo, talvolta, suscita uno sguardo di commiserazione, una battuta inopportuna nei colleghi, un qualche piccino dispetto, portate pazienza: era già previsto dal Signore Gesù!

Di fronte al martirio di tanti fratelli, Signore, sentiamo la nostra piccineria e la nostra fragilità: troppe volte ci vergogniamo di essere cristiani. Riempici dello Spirito di fortezza, per essere capaci di renderti testimonianza, oggi, là dove viviamo.