Omelia (01-12-2003)
Paolo Curtaz


L'avvento, tempo dell'attesa, ci scuote, ci indica che sì, ancora possiamo aspettare, ancora possiamo sperare. Alle volte la vita ci porta ad essere stanchi, a non avere più voglia di aspettarci qualcosa di positivo, l'avvento ci richiama all'attesa del ritorno definitivo del Signore Gesù. Non siamo qui a far finta che poi Gesù nasce: è nato, tornerà nella gloria e – nel mezzo di questi due tempi – ci siamo noi, con le nostre stanchezze, con le nostre fragilità ad aspettare che il Signore nasca nel nostro cuore.
Il centurione di oggi è l'immagine della parte migliore di noi, di quella che ancorasi fida, che ancora si stupisce, l'immagine dell'inaudito di Dio che si stupisce della fede degli uomini, che ne sottolinea il positivo, che ne valorizza la fiducia. Portiamo al Signore che viene, oggi, l'umanità paralizzata e sofferente, ciò che in me è paralizzato e sofferente. Egli, il Rabbì, può liberarci, può guarirci e noi ci fidiamo ciecamente di lui e lo amiamo, poiché egli ci ama e ci salva. Buon avvento, buona settimana fratelli in ascolto.

A noi, che veniamo dall'Oriente e dall'Occidente, è chiesto di sederci a Mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe e – con stupore – ancora diciamo: Marana thà, vieni Signore Gesù!