Omelia (12-12-2003) |
Paolo Curtaz |
Esiste un modo di vivere la fede e intendere il cristianesimo che confonde la serietà con la severità, che pensa alla devozione come un'alienarsi le gioie della terra, che crede che le passioni e le felicità che ci derivano dall'essere uomini vanno guardate con sospetto, che alla religione conviene il volto scuro e la lacrima piuttosto che la leggerezza e il sorriso. Gesù non la pensa così e resterebbe sconcertato da un certo modo di vivere le nostre liturgie e nell'ascoltare le nostre predicazioni. Gesù ama la gioia, ama la vita e la compagnia e ne coglie l'aspetto originario, puro, primitivo, quello che il nostro egoismo rischia di distorcere. Gesù è un mangione e un beone: uno che ama la compagnia e la festa perché questa diventa segno e sacramento della festa che abita perennemente in Dio. Lo sposo è con noi, facciamo festa, verranno i momenti tristi, i momenti in cui astenersi dagli abbracci, i momenti della croce e del dolore. Ma questo dolore e questa croce sono per sempre illuminati dal radioso mattino della Pasqua e se così non fosse saremmo dei tristi cristiani perché cristiani trsiti! Sei stato chiamato mangione e beone, perché – allora come oggi – pensiamo alle cose dello Spirito come contrapposte alle gioie della vita. Tu invece, Signore, ci insegni a rendere grazie di tutto ciò che oggi riceveremo. Marana tha, vieni Signore Gesù! |