Commento su Is 55,1-11; Da Is 12; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11
Questa domenica ci offre lo spunto per due riflessioni:
1) che cosa ci dice di Gesù questo evento;
2) che cosa ci dice a noi questo evento.
La prima riflessione ci dice chiaramente che l'incarnazione di Dio nell'Uomo non finisce con la nascita di Gesù, con l'adorazione dei Magi, con la presentazione al Tempio, con la vita quotidiana nel nascondimento della famiglia per circa trent'anni, MA continua e trova il suo apice pubblico nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, quando a circa trent'anni si mette in fila come tutto il popolo che accorreva ad ascoltare Giovanni (suo cugino), per farsi battezzare dai peccati e convertirsi.
In poche parole Gesù scende dalle stelle per vivere l'umanità delle stalle...cioè, come ricorda il passo biblico "spogliò se stesso prendendo la condizione di schiavo" (Fil. 2,7).
E dopo il riconoscimento nel fiume Giordano, da parte del Padre che lo riconosce quale "Figlio in cui si è compiaciuto", trasformando il suo Battesimo da battesimo di acqua in battesimo di "Spirito", Gesù non si trastulla, ma inizia a "camminare" per incontrare la gente, per instaurare una relazione con chi chiedeva un bisogno, per poi offrire il dono della sua misericordia e guarigione, morale e fisica.
Egli va incontro a ogni miseria umana, spirituale e materiale, guarendo malati e lebbrosi, accogliendo donne e bambini, perdonando peccatori e pubblicani, risuscitando morti fisiche e morti spirituali, proclamando la "buona novella" ai poveri e annunciando la venuta del regno di suo Padre, per la salvezza di tutti.
La seconda riflessione ci porta a essere "figli di Dio", e pertanto abbiamo la possibilità di compiere le sue stesse opere, anzi, forse anche più grandi; lo ha promesso Lui stesso e proprio per questo ha messo a "disposizione" il più potente degli strumenti per fare le nostre piccole e grandi opere: lo Spirito Santo.
Come sul Giordano si squarciò il cielo, così anche noi possiamo fare uno squarcio nella nostra vita, nella nostra casa, nel nostro relazionarci.
Ovviamente nasce spontanea la domanda: come?
Con il nostro atteggiamento, con il nostro portare speranza contro ogni nonsperanza, contraccambiando il male con il bene, gioendo con chi gioisce, piangendo con chi piange, ascoltando e non sentendo, dove c'è offesa portare il perdono, supportare e sopportare, condividendo invece che dividendo...ecc...insomma, agire con amore, per amore, nell'amore ad imitazione di NSGC.
Così scriveva Origene, teologo e filosofo greco antico del 185 d.C.: "Il Signore nostro non è sceso solo fino alla terra, ma fino nelle profondità della terra, e là ci ha trovati inghiottiti e seduti nell'ombra della morte. Tirandoci fuori ci prepara un posto, non sulla terra, per timore che siamo di nuovo inghiottiti, ma nel regno dei cieli."
Questo ci dice il Battesimo di Gesù.
Questo dice a noi il nostro Battesimo, che ci chiama ad essere "fratelli di tutti, con tutti, per tutti".
Domanda
- Come singolo, come coppia, come famiglia, come comunità, il nostro essere battezzati rimane un semplice rito e ricordo o vuole essere la chiave di volta del nostro vivere secondo il modello di amore che Gesù ci ha indicato?
Claudio Righi