Omelia (27-12-2003)
Paolo Curtaz


Giovanni: è lui che oggi celebriamo, è a lui che ci affidiamo per capire il mistero del Natale, è lui che è riuscito – più di tutti – a vedere in fondo ciò che altri non sono riusciti a vedere. Di nuovo nella logica dello stridore, mentre a pochi giorni dalla magica notte di Natale ci aspetteremmo angeli musicanti e fiocchi di neve, in maniera inattesa e sconcertante leggiamo il vangelo della resurrezione in Giovanni, l'affannosa corsa al sepolcro trovato vuoto, la domanda che sgorga dal cuore del discepolo che Gesù amava che vede delle bende e crede. Per capire il senso profondo del Natale abbiamo bisogno della Pasqua: celebriamo solennemente quel bambino perché già lo riconosciamo il crocifisso e il risorto, festeggiamo la nostra salvezza non perché emotivamente inteneriti dal vagito di un bambino, ma perché profondamente scossi dalla notizia di un Dio che – per amore – diventa uomo e – sempre per amore – morirà per ognuno di noi. La festa che celebriamo ci ricorda l'aspetto tragico del Natale, la sua profonda valenza teologica, che troppe volte viene anestetizzata dal più rassicurante Natale consumistico. I fratelli ortodossi hanno esplicitato questa verità con un'icona molto diversa dalle nostre immagini tradizionali del Natale: al centro del dipinto Maria medita distesa, senza neppure guardare il neonato il quale, credetemi, non vagisce adagiato in una mangiatoia, ma resta disteso in un sepolcro. Un segno forte, quasi macabro, per ricordarci che quel bambino è già il crocifisso, il segno di contraddizione delle nazioni. Dio viene tra i suoi, dice Giovanni, ma i suoi non l'hanno accolto; la luce viene ma le tenebre non l'hanno accolta. E io, da che parte mi schiererò?

Signore Gesù, segno di contraddizione, ci obblighi a riconoscerti, a scegliere, nella tua innocenza e fragilità ci costringi a uscire dal sentimento: chi sei davvero Gesù di Nazareth? Con Giovanni l'evangelista ti riconosciamo, da ora come nostro Maestro, Dio risorto nei secoli dei secoli!