Omelia (03-01-2021) |
mons. Roberto Brunelli |
Non separare il Natale dalla Pasqua Tra le celebrazioni del tempo natalizio, ciascuna delle quali evidenzia un diverso aspetto dell'ingresso di Gesù nel mondo, quella di oggi può essere intesa come il terzo racconto della natività. Marco lo ignora: il suo vangelo comincia con Gesù adulto, pronto a svolgere la sua missione; Matteo e Luca hanno narrato i fatti terreni, come li avrebbe potuti osservare chi si trovasse da quelle parti in quei giorni, con Maria e Giuseppe, i pastori e i Magi, i vecchi Simeone e Anna, e così via. Invece il vangelo di Giovanni presenta i fatti da un'altra prospettiva, come se volesse rispondere alla domanda fondamentale: chi è questo Bambino, circondato da tanto interesse, da tante attenzioni? La risposta sta nella prima pagina del suo vangelo, quella appunto che si legge oggi, il celebre prologo, che rivela: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. (...) E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi. (...) Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato". Si fece carne significa che si fece uomo, e dunque quel Bambino è la concreta e tangibile espressione di Dio che si fa uomo, per rivelare agli uomini il proprio amore verso di loro. Quanto Dio abbia amato gli uomini, lo rivela il seguito della vita di quel Bambino, considerando la quale il Natale, con tutta la sua tenerezza, i bei canti, i sorrisi e gli auguri, a ben guardare è solo il prologo della Pasqua, che parla di Risurrezione, ma dopo avere attraversato la Passione e la Croce. Non si può separare il Natale dalla Pasqua: il primo è l'indispensabile premessa della seconda; la seconda è la programmata conseguenza del primo. Volendo Dio dimostrare il suo amore per gli uomini con un linguaggio da loro comprensibile, volle farsi uomo (ecco il Natale) per poter manifestare loro l'amore nella forma più alta: dare la vita per le persone amate (ed ecco la Pasqua). A pensarci, cose da vertigine: Dio, l'Eterno, l'Onnipotente, si fa uomo per poter morire. Come da vertigine è almeno un'altra espressione del prologo. Parlando del Verbo fattosi carne aggiunge: "A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati". L'accogliere, cioè il credere nel Verbo fattosi uomo, comporta il dono di un'altra vita oltre quella semplicemente umana perché nata dall'agire dei genitori terreni: è il dono che fatichiamo persino a definire, di una vita che si muove in altri spazi, in altre direzioni; è una vita diciamo per capirci spirituale, quella dei santi (conosciuti e no), quella che già possiamo vivere in questo mondo pur con i limiti di questo mondo, e poi in pienezza nel mondo venturo. E questa vita, implica il vangelo, nessuno la può comprare o trovare da sé, perché si ha soltanto come dono, che Dio fa a chi crede nel suo Figlio. Se lo vogliamo, Dio ci dona questa vita, come un padre terreno dona la vita ai suoi figli; in altri termini, sul piano spirituale siamo generati da Dio, che dunque per noi diventa il nostro Padre. E non è indifferente che questa generazione, a differenza di quella che ci ha messo al mondo, avvenga "con" il nostro concorso, la nostra volontà; non ci è, per così dire, imposta ma offerta. Riflettiamoci, quando recitiamo il Padre nostro: Gesù che aveva certamente Dio come Padre, insegnandoci questa preghiera è come se avesse desiderato avere noi per fratelli, rivelandocene il modo: anzitutto lodando ("sia santificato il tuo Nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà") quello che lui stesso chiamava "il Padre mio e Padre vostro". E poi, conoscendo i condizionamenti della nostra umanità, chiedendo al Padre comune di sopperirvi ("Dacci il pane, perdona le colpe, non abbandonarci alla tentazione, liberaci dal male"). Insomma, questa preghiera è anche una guida per acquisire quella vita che solo il Padre celeste può donarci. |