Omelia (31-12-2003) |
Paolo Curtaz |
Fine dell'anno, chissà chi ascolterà questa trasmissione, magari in macchina, un po' di fretta in coda per fare gli ultimi acquisti al supermercato, oppure nella tranquillità di una canonica a smaltire la fatica del Natale prima del Te Deum di questa notte, oppure un po' incupiti e scocciati perché si vorrebbe dormire questa notte uguale a tutte le altre e invece qualcuno pensa di accogliere il nuovo anno a suon di inutili e fastidiosi botti. Prima di celebrare il rito del Capodanno, lasciamoci ancora una volta stupire dalle parole di Giovanni. Sono le ultime che ha scritto, probabilmente, alla fine del suo capolavoro, un vangelo che è una meditazione, un annuncio che è come un misterioso riflettere, un lento incedere nel cuore e nella volontà di Dio e lì, alla fine, scrive l'inizio, il prologo, il pezzo più alto; ripensa alla sua storia, Giovanni e vi legge un battito d'ali immenso, un uomo, Gesù di Nazareth, che ha scoperto essere più di un Maestro, più di un Profeta, più del Messia, Dio stesso. Giovanni sa, ora, che quel Gesù, di cui aveva spesso letto negli occhi e nelle rughe del sorriso ai lati degli occhi i sogni le speranze, la bontà e l'abisso, era in realtà il Verbo stesso di Dio, che aveva visto il magma dell'universo esplodere e poi raffreddarsi per dare la possibilità a un mondo (uno?) di esistere e a noi di vivere. Vertigini, certo, da dimenticare presto con un buon bianco frizzante, ma stanotte, per favore, guardate in alto, dopo gli abbracci, Dio sarà lì a sorridere, buon anno nuovo, amici! Un anno finisce, un anno inizia, simile a questo, probabilmente. Ma tu lo abiti, Signore, e vi costruisci il tuo sogno, il regno. Buon anno nuovo, Dio. |