Omelia (03-01-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Abbiamo fiducia nella Luce vera? Abbiamo ascoltato il prologo del quarto vangelo, già proclamato nella messa del giorno di Natale. Questo brano evangelico ogni anno viene proclamato in questa domenica ma, se già è stato letto nel giorno di Natale, perché la chiesa oggi lo ripropone? La chiesa lo ripropone perché esso ci invita a tornare a Betlemme, rimetterci dinanzi al presepio e contemplare il grande mistero dell'Incarnazione, della Parola che si è fatta carne: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Questa Parola, per mezzo della quale Dio ha creato ogni cosa: «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste», è vita e luce per l'umanità intera: «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». Ma l'umanità accoglie il progetto di Dio? Essere veri credenti è difficile: la fede è una vera lotta con se stessi e con il proprio orgoglio; la fede è consegnarsi a Dio, è lasciarsi condurre da lui. Abbiamo davvero fede in Dio? L'evangelista Luca, nel suo vangelo, riferisce un formidabile interrogativo posto da Gesù: «Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (cf Lc 18,8). A questa domanda il vangelo non dà risposta perché la risposta la deve dare ciascuno di noi. Qual è la nostra risposta? San Giovanni scrive che «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta». L'evangelista con queste parole vuole sottolineare che l'uomo, se vuole, può mettersi contro Dio, ma, così facendo, fa esperienza delle tenebre e della morte. Dio infatti è la vita: è possibile chiudersi a Dio, è possibile rifiutarlo, ma senza Dio si muore; senza Dio la vita diventa una condanna; senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia, perché come scrive san Giovanni: «senza di me non potete far nulla» (cf Gv 15,5). La risposta, dunque, alla nostra domanda è: «noi non possiamo vivere senza Dio, non possiamo vivere senza la luce e, nonostante le nostre fragilità, non dobbiamo mai perdere la fede in Dio, in Colui che tutto può»! I Padri della chiesa asseriscono che i semi del Verbo - scintille di luce - sono in ogni persona, e questo ci riempie di gratitudine e di speranza. Però, se la luce spesso non trova accoglienza dipende anche da noi cristiani, che invece di dare testimonianza alla luce continuiamo a brancolare nelle tenebre in mezzo ad ambiguità, a compromessi, a situazioni torbide. Anche la chiesa-istituzione non sempre è esente da questa controtestimonianza. Ebbene, il vangelo di oggi ci invita ad incontrare Cristo, che è la luce vera, ad incontrare il «Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità». Nel linguaggio biblico «carne» significa l'uomo intero colto nella sua fragilità e caducità, designa cioè la massima distanza tra l'uomo e Dio; eppure questa distanza viene colmata proprio nella carne dell'uomo Gesù di Nazaret, carne in cui si contempla la gloria di Dio! La Parola eterna si è fatta carne, Colui che era fin da principio si è fatto uomo, l'Invisibile si è fatto visibile. Sì, la vita eterna di Dio si è manifestata come vita di quel Gesù che ha potuto essere ascoltato, visto, contemplato, palpato (cf 1Gv 1,1), come dirà il discepolo amato: «la vita si manifestò», è apparsa in una carne mortale, «e noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza» (cf 1Gv 1,2). Ed infine il prologo si conclude con quell'affermazione straordinaria che contiene in sé tutta la singolarità del cristianesimo: «Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato». Questa verità non richiede da noi parole di commento, ma solo un ascolto obbediente alla parola del Salvatore e a vivere ogni giorno facendo sempre la volontà del Padre nostro che è nei cieli. |