Omelia (10-01-2021) |
mons. Roberto Brunelli |
L'Epifania del battesimo Concludiamo oggi la celebrazione della nascita di Gesù, con gli eventi ad essa connessi. Allora nessuno avrebbe immaginato che di quel fatto ci si sarebbe ricordati ancora, duemila anni dopo; allora quella nascita poteva apparire come una delle innumerevoli destinate all'anonimato. Quel figlio di povera gente, nato in un qualunque villaggio di un paese perso nel mare magno dell'impero romano, anzi addirittura non in una normale casa dell'abitato ma fuori, in una grotta adibita a ricovero per gli animali, poi subito costretto a fuggire all'estero e in seguito, sino ai trent'anni e oltre, oscuro operaio in un altro ancor più insignificante villaggio, sembrava destinato a restare agli antipodi della notorietà. Non fu così, come tutti sanno; anzi, i cristiani si resero conto ben presto che il loro Signore era entrato nel mondo proprio per farsi conoscere, e così portare a tutti la pienezza del suo dono. Presero allora a celebrare, con la festa di qualche giorno fa, la divina volontà di rivelarsi: Epifania è un termine derivato dal greco che significa "manifestazione". L'intera vita di Gesù, a ben guardare, è una continua epifania, da quando neonato è riconosciuto dai pastori, a quando l'incredulo Tommaso può toccare con mano il corpo vivo del Risorto; ma per celebrare la specifica realtà del suo manifestarsi i cristiani scelsero tre particolari episodi della sua vita. La visita dei Magi, cui si connette la celebrazione di mercoledì scorso, è soltanto uno dei tre, espressivo della sua volontà di manifestarsi non soltanto agli ebrei ma a tutti i popoli. Il secondo episodio è quello delle nozze di Cana: cambiando l'acqua in vino per non rovinare la festa dei convenuti, Gesù si manifesta come il portatore della felicità. Il terzo è l'episodio di cui si legge nel vangelo di oggi (Marco 1,7-11), che parla di Gesù più che trentenne e quindi fa da ponte tra i vangeli dell'infanzia e quelli della vita adulta, della quale sentiremo nei vangeli delle prossime domeniche. La scena di oggi si colloca sulle rive del fiume Giordano, dove l'austero ma stimatissimo Giovanni (il Battista) va preparando il popolo all'imminente arrivo del Messia annunciato dai profeti; lo fa con una vibrante predicazione, cui aggiunge un segno penitenziale, il battesimo, chiarendo tuttavia che quel segno è provvisorio: "Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo". Dopo queste parole, l'evangelista Marco così prosegue: "Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l'amato; in te ho posto il mio compiacimento". Si ha qui dunque una densissima epifania. Gesù è individuato come il Messia (o, per dirlo alla greca, il Cristo) annunciato, atteso da secoli e finalmente giunto, a dimostrazione che Dio è fedele alle sue promesse. Il Cristo lì presente non è soltanto un uomo, ma è proclamato da Dio come suo Figlio. A Dio, che parla dichiarandosi come Padre e come Figlio presente in forma umana, si unisce lo Spirito Santo: è l'epifania della Trinità, l'inattesa rivelazione dell'intima natura divina. Ed è la rivelazione che all'intimità divina Gesù associa l'uomo, mediane il battesimo "in Spirito Santo". Il cristiano trova in questa pagina quasi una sintesi della sua fede, e in particolare l'invito a riconsiderare il proprio battesimo. L'uso di conferire il sacramento ai neonati è del tutto legittimo, fondato e conveniente; ma presenta il rischio di non percepirlo in tutta la sua grandezza. Basti ricordare che esso dà accesso a tutti gli altri sacramenti, perché stabilisce un nuovo rapporto tra Dio e l'uomo. Il battesimo è l'incomparabile dono divino, per cui chi l'ha ricevuto è assimilato a Gesù, e come lui può rivolgersi a Dio chiamandolo Padre. |