Omelia (10-01-2021)
diac. Vito Calella
Per «Chi» viviamo? Due risposte correlate

Il primo "per Chi": per essere popolo «servo di JHWH», che regna come onorato da Dio (Isaia 55,1-11).
L'esortazione finale del libro della consolazione del profeta Isaia, rivolta agli esiliati di Babilonia, mette al centro l'invito alla conversione. «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» (Is 55,6-7).
L'appello di Isaia ci rimanda alla missione di Giovanni Battista, come ci ricorda il vangelo: «Giovanni proclamava: "Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo"» (Mc 1,6b-8). Il battesimo con acqua del Battista era finalizzato alla conversione. Chi si battezzava nel Giordano era chiamato a riconoscere la propria condizione di peccatore, predisponendosi all'accoglienza del battezzatore in Spirito Santo. L'importante era accettare la propria situazione di fragilità e di povertà, riconoscendo il dono dei comandamenti per muovere passi di conversione.
Gli anni di esilio in Babilonia furono un "segno storico" che marcò la vita del popolo di Israele e di Giuda. Molti giudei non fecero ritorno in Giudea perché riuscirono a farsi valere in Babilonia. Addirittura crearono una fiorente comunità giudaica attaccata più agli interessi economici che alla fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio creatore e redentore che aveva liberato il popolo dalla schiavitù d'Egitto. Si prospettava già la fine di quell'esilio. Ma solo i più poveri e fedeli alla loro tradizione religiosa si apprestavano a far ritorno in patria. Il loro "ritornare" era fisicamente esperienza di un "voler ricominciare" con un cuore fortificato nella fede in Dio dopo aver attraversato la perdita / lutto degli anni di esilio.
Anche la pandemia è un "segno storico". Anche in questo evento, alcuni si sono arricchiti, non hanno cambiato nulla del loro stile di vita anteriore. Altri ne stanno uscendo impoveriti da tante perdite, da un senso di smarrimento rispetto all'incertezza del futuro e alla fatica di vivere la quotidianità con tutte le regole restrittive che hanno messo in evidenza l'essenzialità delle vere relazioni di comunione.
L'appello alla conversione fatto dal profeta Isaia e più ancora dal profeta Giovanni ci dice che la molla del cambiamento di direzione che possiamo dare alla nostra vita dipende da "Chi" ci dona un significato vero al nostro esistere quotidiano polarizzato tra conquiste e perdite e caratterizzato dall'esperienza costitutiva della nostra fragilità e vulnerabilità.
Il profeta Isaia, nell'annunciare il ritorno degli esiliati in patria, cantato negli ultimi versetti del capitolo 55,12-13 (non ascoltati nella liturgia della parola di oggi), ci rivela "Chi" è colui che regnerà nella terra di Giuda e di Israele dopo l'esilio. Il «testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni, onorato da Dio, con il quale Dio stabilisce una alleanza eterna» (Is 55,3b-5) sarà il servo di JHWH che il profeta aveva identificato nella figura collettiva di quel piccolo resto di poveri, di gente semplice del popolo, consegnato fedelmente a Dio durante il lungo tempo della schiavitù babilonese. Il popolo dei poveri di JHWH («Io stabilirò per voi»), che ritornò in patria, divenne il misterioso "re", custode di una «alleanza eterna» promessa da Dio, nuova alleanza che avrebbe realizzato «i favori assicurati a Davide» (Is 55, 3b). Umanamente ci si aspettava che dopo l'esilio ritornasse a regnare a Gerusalemme un discendente del re Davide. Ciò non avvenne. Dio, per mezzo del profeta, aveva avvisato: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9). Nel piano di Dio regnano i poveri! La gente semplice del popolo, gli affaticati, gli afflitti dalle ingiustizie dei potenti e dalle malattie: sono loro il servo di JHWH destinato a regnare. Sono loro i discepoli più attenti e più consegnati all'ascolto, all'accoglienza della Parola di Dio, sono loro i più disponibili a «porgere l'orecchio e venire» al loro Signore, Dio creatore e redentore, consapevoli che «ascolteranno e vivranno» (Is 55,3). Si, perché nella loro condizione di povertà e vulnerabilità fanno esperienza giorno dopo giorno della fecondità dell'azione della Parola di Dio nella loro vita. Possono confermare ciò che Dio afferma per mezzo del profeta: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,10-11). Irrorando la terra arida e secca della loro fragilità dall'acqua viva della Parola di Dio fanno l'esperienza della gratuità perché hanno saputo consegnare completamente la loro vita al Signore Dio. Così possono dire a tutti che è possibile vivere relazioni umane di rispetto. Avendo scelto la "resa a Dio", nelle loro relazioni umane non vale più nessuna logica economica di calcolo di interessi. La consegna fiduciosa in Dio li rende pazienti artigiani di gratuità nelle loro relazioni; la loro vita diventa come un banchetto in cui non manca l'eccedenza di dono della prosperità. Vivono la gioia della festa, la festa dei poveri, la festa dei servi di JHWH. Essi hanno solo consegnato la loro povertà in Chi li onora ed è più grande di loro, perché è il loro creatore e redentore. Essi possono sperimentare la bellezza della festa della gratuità di cui sono artefici, ma di cui non si sentono padroni, ma sempre invitati: «O voi tutti assetati, venite all'acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti» (Is 55, 1-2).
Dio, attraverso il profeta Isaia ci dice che il "Chi" ci dona un significato vero al nostro esistere quotidiano polarizzato tra conquiste e perdite e caratterizzato dall'esperienza costitutiva della nostra fragilità e vulnerabilità è il popolo dei «Servi di JHWH», che sta in mezzo a noi: sono quegli gli ammalati, quegli afflitti da tanti tipi di perdite / lutti, i quali si sono sentiti abbracciati dalla tessitura di relazioni di tenerezza, attenzione, di rispetto di altre persone che li hanno incontrati gratuitamente anch'essi spogliati di ogni superiorità ed egoismo, anch'essi vulnerabili e radicalmente poveri. Tutti insieme hanno camminato insieme sentendo ci essere gli onorati di Dio.
Il "per Chi" correlato: vivere per Gesù battezzato, il Figlio di Dio riconosciuto «Servo di JHWH».
Giovanni, al proclamare colui che verrà dopo di lui, «più forte di lui», lo indica come colui che ci «battezzerà in Spirito Santo». Completa la risposta sul "Chi" ci dona un significato vero al nostro esistere. Il «più forte di lui», il Figlio mandato dal Padre, il Verbo di Dio fattosi nostra carne, Gesù, appare improvvisamente in scena e si fa battezzare da lui nel fiume Giordano. Mescolato tra la folla, allo stesso livello di tutti coloro che avevano riconosciuto la loro condizione di peccatori e la loro fragilità, Gesù fa la sua apparizione. Si rivela appartenente al popolo dei servi di JHWH. Porta in sé il lungo nascondimento di trent'anni di vita in mezzo al popolo semplice e dimenticato di Nazaret. Viene dalla semplicità della vita ordinaria vissuta con Maria e Giuseppe. Appena battezzato nelle acque del Giordano, «venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento"» (Mc 1,11). Quella voce proclamava Gesù di Nazaret come «Figlio del Padre» usando le stesse parole con cui il profeta Isaia aveva presentato il servo di JHWH.
L'«acqua» del fiume Giordano, secondo l'evangelista Giovanni, è «testimone» della scelta di Gesù di essere servo di JHWH in comunione con tutti i poveri sofferenti del mondo, chiamati a scoprire la loro dignità di figli amati del Padre grazie a ciò che Gesù farà e dirà a partire da quell'immersione nell'acqua del Giordano. Sappiamo bene che Gesù annunciò il Regno del Padre incontrando tutti, a partire dai più poveri ed esclusi, dai peccatori più incalliti. Gesù si sentiva parte di questo popolo di gente povera e sofferente che sa ascoltare, accogliere e vivere la proposta di vita del Regno del Padre più dei sapienti e dei dotti. La sua scelta di stare dalla parte dei poveri lo rese servo sofferente affrontando la passione e la morte di croce. Gesù Cristo continuerà ad essere in comunione con tutti i poveri del mondo identificando la sua regalità di risuscitato in ciascuno di essi.
Il «sangue» sgorgato dal suo petto di crocifisso, squarciato dalla lancia, insieme all' «acqua», è «testimone» dell'obbedienza di Gesù alla volontà del Padre di perseverare nella gratuità anche di fronte alla negazione umana di aderire alla sua proposta di Regno.
«Lo Spirito Santo, visto discendere verso di lui come una colomba» (Mc 1,10b) era la potenza della gratuità dell'amore misericordioso e fedele del Padre che avrebbe determinato la qualità di tutti gli incontri di Gesù e di tutti i suoi insegnamenti e lo avrebbe sorretto nella sua comunione con il Padre nell'ora della sua morte di croce.
Lo stesso «Spirito» è ora il nostro «testimone» interiore.
Ci fa riconoscere con gratitudine «Gesù come il Figlio di Dio».
Effuso gratuitamente nei nostri cuori è fonte di una speranza che non delude (Rm 5,5).
Con Cristo servo sofferente risuscitato vogliamo e possiamo appartenere al popolo dei servi di JHWH, grazie a questo «testimone» di tutta la verità su Gesù Cristo, che abita dentro di noi.
Vogliamo e possiamo irrorare l'aridità della nostra fragile condizione umana con la pioggia beneficante della Parola definitiva di Cristo, nostro Signore, grazie a questo «testimone», che abita dentro di noi.
Vogliamo e possiamo intessere nel suo nome relazioni di gratuità, facendo comunione con Lui nel dono eucaristico e nel dono della nostra comunione fraterna che adora la sua regalità nella carne dei più poveri, grazie a questo «testimone», che abita dentro di noi.
Con la forza dello stesso Spirito Santo, che abbiamo riconosciuto come presenza viva in noi nel giorno del nostro battesimo, vogliamo e possiamo già gustare qui ed ora la gioia del banchetto gratuito di relazioni di comunione nel rispetto reciproco tra fratelli e sorelle in Cristo; gioia che sarà vissuta in pienezza nell'orizzonte ultimo del nostro itinerario di vita, oltre la soglia della nostra morte, in comunione con il Padre e con tutti i santi.