Omelia (10-01-2021)
don Alberto Brignoli
Le cose non torneranno più come prima: e menomale!

"Le cose non torneranno più come prima": è una delle frasi più gettonate, per non dire abusate, di questo periodo nel quale siamo stati costretti a cambiare molte delle nostre abitudini di vita. In alcuni programmi televisivi, o su alcuni articoli di giornale, oppure attraverso qualche post su uno dei tanti social network, i "Re Magi" dell'attualità, quei grandi sapienti che comunemente chiamiamo "opinionisti", si azzardano addirittura in elenchi puntuali delle cose che non faremo più: le dieci cose che non faremo più, le cinque cose che cambieranno nella mobilità, le quattordici abitudini che dovremo perdere, e così via. E c'è veramente di tutto, dalle cose più vere a quelle più banali: non metteremo più in bocca la penna, non faremo più un "tiro" dalla sigaretta di un altro, non ci stringeremo più come sardine in un ascensore, non lasceremo più i bambini con la tosse a casa dei nonni, non ci leccheremo più le dita per girare le pagine del giornale, non faremo più l'aperitivo con le arachidi salate al bancone del bar, ci penseremo due volte prima di andare in pronto soccorso per una botta durante la partita di calcetto, non ci segneremo più con la mano intinta nell'acquasantiera, e via dicendo... Si sentono veramente affermazioni di ogni tipo, e se alcune potranno anche essere reali, di molte altre non sappiamo proprio se e in quale forma si verificheranno.
Le uniche cose di cui abbiamo certezza sono invece le cose che già sono cambiate: un terzo degli italiani ha visto morire qualcuno in famiglia o comunque peggiorare la salute e la vita familiare propria e dei propri cari a causa della pandemia; la situazione finanziaria di quasi la metà degli italiani è peggiorata, e molti sanno già che rischiano di perdere il lavoro o di dover affrontare future difficoltà finanziarie a causa del virus; è aumentato il senso di solitudine, e prova ne è il fatto che quasi 8 milioni di italiani hanno comprato un animale di compagnia dallo scorso mese di febbraio ad oggi. Ci sono state anche cose che ci hanno fatto cambiare in meglio, o comunque compiere dei balzi in avanti: a livello digitale, tra smartworking, spesa on-line e e-learning (didattica a distanza), in pochi mesi abbiamo fatto tutto quello che non abbiamo fatto negli ultimi 20 anni; a livello igienico-sanitario, abbiamo imparato ad essere meno trascurati nell'igienizzarci mani, viso, abiti, ambienti e quant'altro; a livello climatico, abbiamo imparato a rispettare un po' di più il pianeta; a livello culturale, magari, le varie fasi di lockdown ci hanno insegnato a leggere e a informarci di più. E potremmo proseguire con molti altri esempi.
Ma c'è anche un'altra cosa che non tornerà più come prima, e non ha nulla a che vedere con la pandemia, ma forse ci può aiutare a vivere meglio anche questo momento. Ha a che fare con la Liturgia di oggi, nella quale ricordiamo il giorno in cui Gesù discese nelle acque del Giordano per farsi battezzare da Giovanni. Nella sua narrazione, Marco ci dice che Gesù, "uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba".
I cieli che "si squarciano" è un'espressione molto forte, che già il profeta Isaia aveva usato per invocare da Dio la fine del suo silenzio, di fronte a un popolo lasciato solo nell'esilio in Babilonia. Quando Dio taceva, l'Antico Testamento esprimeva la propria sofferenza parlando di "cieli chiusi", spesso in maniera definitiva, almeno stando alle vicende storiche. Con Gesù che esce dal Giordano e porta a compimento il mistero dell'Incarnazione, i cieli si "riaprono"; anzi, "si squarciano", e vi assicuro che non è la stessa cosa. Provate voi a togliervi di dosso un abito sbottonandolo o abbassando la cerniera-lampo, e a farlo, invece, strappandolo: nel primo caso, lo riponete sapendo di poterlo utilizzare di nuovo, nel secondo, il danno è fatto, e il vestito non serve più a nulla. Ecco: i cieli squarciati, strappati, non servono più a nulla, sono "da buttare", come la carta da regalo che la mamma ci diceva di conservare aprendo con cura un pacco-dono e noi la strappavamo ansiosi di vedere il contenuto! Quella carta non servirà più, quel vestito è da buttare: quei cieli squarciati, ormai, non servono più, sono lacerati, non si richiudono più. E questa è la nostra salvezza, perché vuol dire che il silenzio di Dio è terminato definitivamente, e non per niente - per darcene conferma - ci fa udire la sua voce dal cielo.
I cieli, da Gesù in poi, non si richiudono più sopra di noi; tra noi e Dio, il cielo non è più un ostacolo, ma una via. Non avremo più - come disse Kant - "il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me": d'ora in poi abbiamo dentro di noi il cielo stesso, e quella sarà la nostra legge vitale, la nostra forza.
Le cose non torneranno più come prima: il cielo non è più una distanza, ma una presenza; Dio non è più silenzio, ma è Parola; lo Spirito non sarà più una presenza misteriosa, ma sarà come una colomba, l'unica che riesce sempre a ritrovare il proprio nido e a riprenderne possesso, proprio come quel giorno nel Giordano, quando Gesù si riempì di Spirito, e non se ne disferà più.
Le cose non torneranno più come prima: Dio non starà più abbarbicato sulle rocce del Sinai, ma si sporcherà i piedi con la polvere delle nostre strade, a iniziare proprio dal deserto arido della nostra vita; Dio "non se la tirerà più" come tutte le altre divinità, ma accetterà di essere come tutti noi, confuso in mezzo ai peccatori a ricevere il battesimo, in fila anche lui, come noi fuori da ogni locale pubblico.
Le cose non torneranno più come prima: e forse, visto che saremo costretti a stare a distanza ancora per un po' di tempo, sarà bene che ci abituiamo almeno a non prendere le distanze da Dio!