Omelia (17-01-2021) |
mons. Roberto Brunelli |
Un nome, non a caso Le letture di oggi ispirano qualche riflessione sui nomi propri delle persone. Pare sia stato il commediografo latino Plauto a coniare l'espressione "Nomen est omen", cioè "Il nome è un presagio", che si usa quando si vuol vedere nel nome o nel cognome di qualcuno un significato allusivo alla sua personalità o a un evento che lo riguarda. In realtà il cognome, bello o brutto che sia, si eredita, senza poterci fare nulla, e il nome imposto a un neonato oggi è del tutto casuale; i genitori lo scelgono perché "suona bene" o perché, sull'onda di qualche personaggio noto, va di moda. Nessuno bada al suo significato, sicché di fatto il nome serve soltanto a distinguere un individuo da un altro. Un tempo non era così, e la bibbia lo dimostra: pressoché tutti gli appartenenti al popolo d'Israele portavano nomi scelti in riferimento a Dio, alla sua grandezza, alla sua bontà. Nella prima lettura (1Samuele 3,3-10) protagonista è un fanciullo che avrebbe poi avuto un ruolo determinante nella storia dell'antico Israele. Era nato dopo le insistenti preghiere di sua madre, la quale per questo l'aveva chiamato Samuele, che significa "Dio ha ascoltato"; la madre, riconoscente, l'aveva poi "restituito" a Dio, lasciandolo nel tempio il cui sacerdote a sua volta portava un nome quanto mai appropriato: Eli (Elia), che significa "Il mio Dio è il Signore". Passando al vangelo (Giovanni 1,35-42), il primo nome che si incontra è quello del Battista: nato da una donna ritenuta sterile, per riconoscerlo come un dono del Cielo fu chiamato Giovanni, che significa "Grazia di Dio". Segue nel racconto il nome del Bambino di Betlemme, che sia Giuseppe sia Maria avevano distintamente ricevuto ordine dall'Alto di chiamare Gesù, vale a dire "(Dio è) Salvatore". Altri nella bibbia avevano portato lo stesso nome, con grafia un poco diversa ma con lo stesso significato: ad esempio il condottiero Giosuè o il re Giosia; ma a nessuno si addice come a lui, perché lui è il Salvatore, lui è Dio. Nel brano si citano di lui anche vari appellativi, quasi altrettanti nomi, ciascuno espressivo di qualche aspetto della sua missione. "Agnello di Dio": lui è come l'innocente agnello che si usava sacrificare per la cena pasquale; innocente, sacrificato sulla croce per salvare l'umanità. Lo chiamano anche "Rabbi", cioè Maestro: e chi lo è più di lui? E ancora, "Messia" all'uso ebraico, o alla greca "Cristo", che significa "consacrato con l'unzione", cioè dedito tutto e solo a Dio. L'episodio riguarda anche due fratelli, chiamati da Gesù tra i suoi apostoli. Sono due pescatori ebrei; il primo però - le contaminazioni culturali esistevano anche allora - porta un nome greco, privo di riferimenti religiosi: Andrea significa "uomo coraggioso". Un nome tradizionale ebraico porta invece suo fratello: Simone, cioè "Dio ha esaudito" (sottinteso, la mia preghiera); Simone o Simeone, come uno dei figli di Giacobbe, capostipiti delle dodici tribù d'Israele, o come il vecchio cui toccò il privilegio di accogliere tra le braccia il bambino Gesù (Luca 2,22-35). Ebbene, con la stessa autorità con cui Dio aveva cambiato il nome di Abramo e di Giacobbe per manifestare la nuova missione che egli assegnava loro, Gesù cambia il nome del pescatore Simone. Lo chiama Cefa, cioè roccia, pietra, e in un'altra occasione (Matteo 16,18) ne spiega il perché: "Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa", salda come una roccia. Nella Bibbia dunque il nome non è casuale, né contiene oscuri presagi. Oggi non si usa più sceglierlo per esprimere un vincolo con Dio: chi sa per esempio che Renato significa "nato di nuovo (con il battesimo)"? e Matteo, "dono di Dio"? e Anna, "Dio ha fatto grazia"? Nondimeno, un nome di evidente significato religioso tutti lo portiamo. Ciascuno si dice Cristiano, cioè "seguace di Cristo", e stando all'uso antico questo nome qualifica chi lo porta, manifesta la sua missione nel mondo, esprime la sua fede. |