Omelia (17-01-2021)
padre Antonio Rungi
Parla Signore, abbiamo bisogno di sentire la tua voce

Con questa seconda domenica del tempo ordinario entriamo nel vivo di quel periodo liturgico che ci traghetterà verso la Quaresima e la Pasqua.

La parola di Dio di questo giorno santo ci invita a riflettere su tema della chiamata vocazionale.

Già la prima lettura, tratta dal libro di Samuele ci parla appunto della chiamata di questo giovanetto al servizio di Dio.

Per ben tre volte il Signore lo chiama e lui non riesce a discernere questa voce di Dio. Alla fine con l'aiuto di Eli comprende che quella voce proveniva dal cielo e lo invitava a mettersi a servizio del Signore. Infatti Samuele rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Mettendosi in sintonia con la parola di Dio, per Samuèle si crearono i presupposti per crescere in sapienza e bontà, in quanto il Signore fu con lui. Questa crescita spirituale fu possibile in lui in quanto non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.

L'importanza di mettersi a servizio della parola oggi in modo particolare lo comprendiamo alla luce di tanti avvenimenti che stanno contrassegnando il nostro tempo. Se non ci fosse la forza della parola di Dio difficilmente potremmo affrontare con coraggio le avversità della nostra vita e quella del mondo intero.


In stretto rapporto con questa prima lettura è il vangelo di oggi, nel quale ci viene presentato nuovamente Giovanni Battista che con il suo gruppo di discepoli effettua un vero e proprio discernimento vocazionale per rispondere alla chiamata del divino Maestro.

Il brano del Vangelo di Giovanni racconta, infatti, con estrema chiarezza la vocazione dei primi discepoli. A differenza dei Vangeli sinottici, Giovanni non colloca la chiamata in Galilea dove i futuri discepoli vengono chiamati, mentre stavano pescando, con un imperativo categorico: ‘Venite dietro a me e farò di voi pescatori di uomini'.

Giovanni colloca la chiamata di primi discepoli a Betania, al di là del Giordano dove Giovanni sta battezzando.

Ciò fa parte della volontà dell'evangelista di presentarci una settimana completa di Gesù calcolata quasi giorno per giorno che termina con la manifestazione della gloria di Gesù alle nozze di Cana dove il brano si conclude con "Gesù manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui" (Gv 2, 11).

Il brano è pieno di verbi che esprimono movimento. Il Battista ha con sé due discepoli, Andrea e un altro che non è identificato. Gesù sta passando, è in cammino, non si dice da dove viene e dove è diretto, si dice solo che ‘passava' e il Battista si accorge, di questo e fissa lo sguardo su Gesù parlando alla folla: "Ecco l'Agnello di Dio" (Gv 1, 36). Egli riesce a capire che dietro l'apparenza così normale di quell'uomo di Nazareth si nasconde l'Agnello di Dio preannunziato dall'Antico Testamento.

A questo punto, Andrea e l'altro discepolo si rivolgono a Gesù e ‘cominciano a seguirlo' staccandosi, così, da Giovanni Battista. Ancora non conoscono Gesù, ma sono rimasti affascinati dalla testimonianza data dal Battista e si incamminano con Gesù. Il passaggio di Gesù in quel momento significa che per Giovanni è venuta l'ora di fermarsi per lasciare posto ad un altro: "Lui deve crescere: io, invece, diminuire" (Gv 3, 30). D'altra parte Cristo è l'unico salvatore e scoprire che Gesù è l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo è scoprire che, grazie a Lui, si può iniziare a vivere in modo diverso: egli, caricandosi di tutto il nostro peccato, di tutte le nostre miserie, li toglie via. Se ne carica Lui per liberare noi.

Una volta scoperta l'identità di Gesù non si può fare a meno di sentirsi attratti verso di Lui. Ed è bello notare che i discepoli del Battista non solo seguirono Gesù su indicazione del loro vecchio maestro, ma obbligano Gesù a fermarsi e a cambiare direzione del proprio itinerario.

I discepoli sembrano quasi comandare a Gesù di fermarsi perché hanno bisogno di incontrarsi con Lui.

Quando la ricerca è autentica, quando davvero ci brucia il cuore, il Signore risponde; Gesù si volge a chiunque lo segue, si volge alla nostra iniziativa di cercarlo, non attende altro: è venuto per farsi cercare e trovare. "Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: Che cosa cercate?"

Questa è la prima parola attribuita a Gesù nel Vangelo di Giovanni e la sua prima parola è una domanda: Che cosa cercate?

Il verbo ‘cercare' offre la definizione dell'uomo: noi siamo creature di domanda e di ricerca, creature di desiderio e siccome Gesù conosce molto bene il cuore dell'uomo apre il dialogo con una domanda ‘che cosa cercate?' per far capire che a noi manca qualcosa. Infatti la ricerca nasce da una mancanza, da un vuoto che chiede di essere colmato. I due discepoli non si sono accontentati di essere al seguito del Battista, non si sono detti: siamo a posto, abbiamo il meglio. E invece non hanno il tutto.

La domanda ‘che cosa cercate' obbliga a scendere nel profondo del loro cuore e nel nostro cuore per far emergere quella verità che a volte teniamo nascosta perfino a noi stessi.

Quindi dobbiamo essere sinceri, non avere paura della verità e dei desideri più profondi. Il desiderio più profondo è ciò che muove la vita e anche se inconsapevolmente ci fa fare delle scelte. Quante volte e quante cose abbiamo chiesto al Signore per noi stessi, per i nostri cari e per tutti coloro che sono in necessità.


Ci aiuta a discernere quello che dobbiamo cercare e quindi chiedere al Signore in ogni momento della nostra vita con la preghiera di impetrazione, quello che scrive l'Apostolo Paolo ai cristiani ai Corinto: allontanarci con decisioni forti da tutto ciò che è male nella nostra vita.

Ci ricorda, infatti, l'Apostolo delle Genti che il nostro corpo non è per l'impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Nella nostra dimensione corporale noi siamo destinati all'eternità. Per cui dobbiamo stare lontani dall'impurità! Bisogna avere massimo rispetto verso il proprio corpo. Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impurità, pecca contro il proprio corpo. D'altra parte per fede sappiamo che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in noi. Questo nostro corpo lo abbiamo ricevuto da Dio e noi siamo degli amministratori di esso, non i proprietari. Noi non appartiamo a noi stessi, ma a Dio. Siamo stati comprati, infatti, a caro prezzo, mediante la passione, morte e risurrezione di Cristo. Logico quindi che dobbiamo allontanarci dall'impurità e glorificare Dio anche nel vostro corpo mortale che è destinato alla risurrezione finale.