Omelia (17-01-2021)
diac. Vito Calella
«Stare»

«Stare» uniti nell'ascolto orante della Parola di Dio confidando in una guida spirituale.
«Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando» (Gv 1,28) significa "casa del povero". Il luogo geografico richiama la condizione esistenziale in cui stare, immedesimandoci in Giovanni Battista, che «stava con due dei suoi discepoli» (Gv 1,35a). È un permanere fermi nella nostra condizione di fragilità, facendo contatto con la "casa del povero" che è la nostra corporeità vivente così esposta al limite della morte e segnata dal susseguirsi di perdite. La pandemia continua a farci «stare», ci ha fermati, tutti insieme. Giovanni con due suoi discepoli rappresenta ciascuno di noi in comunione con gli altri. L'individualismo è un'illusione, l'isolamento un inferno, perché siamo "relazione". Contempliamo uno «stare insieme» di Giovanni Battista e dei suoi due discepoli. Di uno conosciamo il nome: «Andrea, fratello di Simon Pietro» (Gv 1,40); dell'altro non sappiamo il suo nome e possiamo identificarlo nel discepolo amato: personaggio caro all'evangelista Giovanni, che può rappresentare ciascuno di noi chiamato all'avventura di voler e poter diventare gioiosamente e responsabilmente un discepolo di Gesù. Da discepoli anche noi oggi vogliamo «fissare negli occhi» contemplandolo come «Verbo fatto carne» (Gv 1,14) e «Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29.35).
Il nostro «stare insieme» vuole «fissare lo sguardo su Gesù che passa» nella nostra vita orante, di comunione e di discernimento.
Di fronte al nostro «stare», come Giovanni e dei due discepoli, c'è il «passare» di Gesù.
È parallelo allo «stare» immobile a dormire di Samuele e al «passare» di Dio con la sua parola, prendendo l'iniziativa di venire incontro e di chiamare.
Lo «stare» di Giovanni e dei suoi due discepoli è uno «stare orante» concentrato sulla Parola di Dio già consegnata in dono attraverso la voce dei profeti. Se il Battista addita Gesù definendolo «l'agnello di Dio» custodiva nel suo cuore e nella sua mente l'incontro orante con i testi di Isaia che presentano la figura veniente del servo di JHWH, presentato come un servo sofferente mantenutosi sempre fedele al suo Dio e disposto a donare tutta la sua vita per la liberazione di tutta l'umanità dalle conseguenze divisive e distruttive delle azioni malvagie, di cui egli stesso sarebbe stato vittima: «Maltrattato, egli si è umiliato e non apri la bocca; come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori, non aprì bocca» (Is 53, 7).
Lo «stare» di Samuele è nel contesto del tempio di Silo.
Samuele è vigilante nell'obbedienza alla sua guida spirituale, Eli. Samuele è fedelissimo discepolo di Eli così come Andrea e l'altro discepolo lo sono di Giovanni Battista.
Ecco dunque emergere tre doni di cui far tesoro nel nostro «stare» per accogliere il Signore che passa nella nostra vita: il dono di vere relazioni di comunione, il dono della preghiera alla luce della Parola di Dio, il dono di avere una guida spirituale.
Su questi tre doni il nostro «stare» non sarà mai un ozioso rimanere fermi a crogiolarsi sul rimpianto di un vissuto che non può più essere cambiato, confidando illusoriamente soltanto in noi stessi, nelle nostre forze, nella nostra libertà individuale; ma diventa uno «stare» in attesa vigilante per far protendere la nostra vita prontamente verso Gesù Cristo che passa nella nostra vita diventando la nostra definitiva guida spirituale.
I due discepoli lasciarono Giovanni Battista per seguire Gesù. Andrea diventò una guida spirituale affinché suo fratello Simon Pietro potesse conoscere e amare Gesù. Eli scompare di scena insegnando a Samuele a mettersi d'ora in poi in ascolto esclusivo del Signore.
«Stare» nella dimora di Gesù è lo scopo della vita.
«Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì - che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?". Disse loro: "Venite e vedrete". Videro dove abitava e presso di lui dimorarono; erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1,38-39).
Gesù non attira l'attenzione su se stesso, non domanda: «Chi cercate?» Era chiaro che i due discepoli di Giovanni lo avevano scelto come nuovo maestro. La domanda «Che cosa cercate?» si può interpretare con un'altra: «Qual è lo scopo della vostra vita?»
I due discepoli rispondono dicendo che tutta la loro esistenza, mettendosi alla sequela di Gesù, vuole diventare un cercare per «stare» nella dimora di Gesù: «Rabbì, dove abiti?».
Gesù è un mediatore per raggiungere l'obiettivo ultimo: la dimora dove lui abita.
Il linguaggio dell'evangelista Giovanni è simbolico. Noi ci immaginiamo la scena di Gesù che, al dire «venite e vedrete» li invitò nella casa dove abitava e lì stettero tutta la sera e - come commenta sant'Agostino- possiamo immaginare pensando: «Che notte beata! Chi può dire che cosa ascoltarono quella notte dal Signore?» L'evangelista non ci fornisce l'indirizzo della casa dove Gesù abitava e non ci comunica cosa fecero e di che cosa dialogarono quando stettero con lui.
Il «venite» diventa per noi l'invito di Gesù a seguirlo qui ed ora, rinnovando ogni giorno la scelta di fissare lo sguardo solo su di lui.
Il «vedrete» diventa consapevolezza di un cammino iniziato nel passato, seguendo Gesù, che sarà sempre nuovo, pieno di scoperte: è un vivere intensamente il momento presente da discepoli di Cristo proiettati continuamente a fare esperienza della dimora di Gesù, fino al passaggio della soglia finale della nostra morte, quando il nostro stare nella dimora di Gesù sarà definitivo.
C'è una dimora provvisoria in vista di quella definitiva, ma è in fondo la stessa esperienza.
La dimora definitiva di Gesù è l'esperienza che vivremo del sentirci ospitati eternamente nella comunione con il Padre nostro Abbà, da figli amati, per mezzo di Gesù nostra via, verità e vita (cfr. Gv 14,1-6).
Questa esperienza definitiva di vita eterna dopo la morte richiede la nostra scelta responsabile e quotidiana di permettere di essere noi stessi, individualmente e comunitariamente, in questa fugace vita terrena e inseriti nel nostro contesto, la dimora del Padre unito al Figlio grazie alla presenza dello Spirito Santo che abita nel tempio del nostro corpo.
La parola di Dio, per mezzo dell'apostolo Paolo ce lo ha ricordato con una domanda che rende ciascuno di noi responsabile del come gestisce la sua libertà e della qualità delle relazioni che comunica e realizza con la sua bocca con le sue mani, con i suoi piedi, con suo corpo: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6,19-20).
Da quando il Figlio di Dio è divenuto il «Verbo fatto carne che ha messo la tenda in mezzo a noi» ed è stato risuscitato dal sepolcro con quel suo corpo umano crocifisso, l'amore gratuito che lo ha sempre tenuto unito al Padre, ha preso dimora nel tempio del nostro corpo mortale affinché, per Cristo, con Cristo e in Cristo risuscitato, trovi per sempre ospitalità nel Padre tutta la nostra fragile e povera condizione umana, di cui il nostro corpo è segno visibile.
Oggi il Cristo risuscitato ci dice: «Venite e vedrete!
Scoprite che Io unito al Padre nello Spirito Santo ho già preso dimora nel vostro stesso corpo santificato dal dono gratuito dello Spirito Santo.
Sta a voi scegliere ogni giorno che io viva in voi,
affinché, con la vostra corporeità vivente individuale,
diventiate veri miei discepoli evangelizzatori nella tessitura di tutte le vostre relazioni.
Sta a voi scegliere di sentirvi comunitariamente membra vive del grande corpo ecclesiale che sono Io, in comunione con tutti voi, mediante il mio corpo donato e il mio sangue versato a partire da tutti i poveri e sofferenti del mondo.
Se farete così, dopo la vostra morte fisica, vi meraviglierete nello scoprire quanto bello è stato il vostro contributo per realizzare in questo mondo il regno del Padre
sia con l'offerta esistenziale del vostro corpo irradiante la gratuità dell'amore divino,
sia con la gioiosa vostra appartenenza ecclesiale.
E godrete in pienezza la bellezza della comunione, che è vita eterna nella mia dimora definitiva che è la casa del Padre»