Omelia (17-01-2021)
don Alberto Brignoli
Anche Dio ha le sue fissazioni

Ognuno di noi ha le proprie fissazioni. Non necessariamente questo ha delle accezioni negative, anzi: spesso possono pure rappresentare dei punti fissi nella nostra vita quotidiana, delle cose dalle quali non ci schiodiamo perché le riteniamo importanti, perché rappresentano per noi dei valori, dei punti di riferimento che magari abbiamo ricevuto insieme con l'educazione che ci è stata tramandata dai nostri padri. E allora, la casa ben pulita, l'ordine sulla scrivania in ufficio, la legna tagliata e sistemata con precisione geometrica (giusto per citare alcuni "capolavori" di ingegneria del legname che si notano nei giardini di alcune case del nostro altopiano) rispondono all'esigenza di mantenere intorno a noi un ambiente che faciliti anche il nostro lavoro o anche solo i nostri movimenti casalinghi quotidiani. Certo, cadere in fissazioni dall'aspetto "negativo" è molto facile: a volte alcuni atteggiamenti possono diventare maniacali, al punto che si diventa intolleranti verso tutto ciò che è diverso da come noi l'abbiamo fissato nella nostra mente: e questo può creare anche grossi problemi nelle relazioni con gli altri, soprattutto quando si tratta di persone con le quali conviviamo.
Ma le conseguenze più nefaste di certe fissazioni si hanno quando il loro oggetto non è una cosa o un comportamento, bensì una persona. Le fissazioni nei rapporti interpersonali e sociali sono quanto di più potenzialmente pericoloso possa esistere: fissarsi su una persona o anche solo su alcuni suoi comportamenti, oltre che sfociare in veri e propri reati, rende la vita impossibile. Impossibile, ovviamente, a chi è oggetto di fissazioni maniacali da parte di qualcun altro, ma impossibile pure a chi ha delle fissazioni, perché fa dell'attenzione morbosa ed errata verso l'altra persona, l'unico o il principale scopo della propria vita, al punto da entrare egli stesso in un vortice nel quale rimane impegolato senza via d'uscita. In generale, quindi, è meglio non avere fissazioni e vivere con serenità, donando agli altri la medesima serenità.
Sennonché...nel Vangelo di oggi - ma forse anche nella prima lettura - si parla di "fissazioni": il Vangelo usa per ben due volte questo verbo, riferendolo allo sguardo tra due persone, e la prima lettura dà quasi l'impressione di trovarsi di fronte a un caso di "stalking" da parte di Dio nei confronti del giovane Samuele...e per fortuna che a quel tempo non esistevano i cellulari! Quindi, a quanto pare, anche Dio ha le sue fissazioni: e non materializzandole su qualcosa che riguardi la casa, il lavoro, gli hobbies, il tempo libero, è chiaro che le sue fissazioni riguardano l'umanità.
Spesso abbiamo davvero l'impressione che Dio "sia fissato" su certe persone o su una certa porzione di umanità: sono pensieri che ci vengono anche un po' naturali, quando vediamo persone (singoli o anche nuclei familiari) colpite in continuazione da sofferenza, da malattie, da disgrazie, da problemi; e così anche quando sentiamo di popolazioni costantemente afflitte dalla fame, dalla guerra, dalla miseria, dalle calamità naturali, dalle malvagità umane di certi dittatori. Siamo sinceri: chi di noi non ha mai detto - almeno una volta - "Perché sempre loro, Signore? Che cosa hanno fatto di male?". Perché tutte le sventure a certe persone? Perché tutte le calamità sempre e solo ad alcuni popoli? Perché ancora, sempre e solo i poveri? Quante volte anche nella Bibbia - nei salmi in particolare - il fedele si rivolge al Signore chiedendogli di volgere il suo sguardo da un'altra parte, di non fissarsi esclusivamente su di lui; o se proprio lo deve fare, che lo faccia positivamente, per accorgersi della sua situazione di miseria e venire in suo soccorso.
Fortunatamente - ed è ciò che riscontriamo nella Liturgia della Parola di oggi - Dio fissa il suo sguardo sull'uomo anche in maniera benevola, perché vuole leggere e scrutare il suo cuore e capire se da quel cuore può ottenere fedeltà. È ciò che ha fatto con Samuele, sul quale fissa il suo sguardo per restaurare la condizione di un popolo, Israele, che si era allontanato da lui: e lo fa nel tempio, in casa del sacerdote, in casa di quell'Eli i cui figli - dice il libro di Samuele - erano sacerdoti perversi e abusivi nei confronti del popolo. Non importa: anche in quel tenebroso contesto di abusi, di corruzione e di mancanza di fede, "la lampada del santuario di Dio non era ancora spenta" - dice sempre il racconto - per cui, Dio ha ancora sufficiente luce per fissare lo sguardo sull'innocenza di Samuele e affidare a lui le sorti del suo popolo.
Anche Gesù è capace di portare alla luce, con un solo sguardo, la generosità del cuore di Simone, fratello di Andrea, il quale - stando al racconto di Giovanni - seguirà il Maestro non perché da lui chiamato (anzi, pare quasi che suo fratello lo "trascini" dal Messia) ma solo perché Gesù "fissando lo sguardo su di lui" gli cambia di colpo la vita, cambiandogli ciò che, nella vita, lo identificava, ovvero il nome. E diventerà "Cefa", Pietro.
Quando Dio fissa lo sguardo su di noi, ci cambia l'esistenza: a volte questo suo sguardo ci fa male, e la nostra vita ne resta segnata; spesso invece lo fa per guardare nel profondo del nostro cuore e affidarci un compito. All'inizio, il compito non è affatto gravoso, anzi: è lui che chiede a noi "che cosa cerchiamo", e se davvero capisce che vogliamo sapere dove egli abita, allora ci chiede di seguirlo e di stare con lui. Sarebbe bello riuscire a capire come fare per incontrare il Maestro, come capire cosa vuole da noi, come comprendere dove lo possiamo trovare. Il Vangelo di oggi ci dice di fare lo stesso che lui fa con noi: fissare lo sguardo su di lui, come fece Giovanni il Battista, che indica ai suoi discepoli "l'agnello di Dio" solamente "fissando lo sguardo su Gesù che passava". È tutta questione di sguardi: ci si innamora di Gesù esattamente come ci si innamora di una persona, con lo sguardo. E senza troppe parole, perché le parole non servono.
Concludo citando un famoso aneddoto della vita del Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, il quale raccontò di un contadino che, ogni giorno e alla stessa ora, entrava nella chiesa parrocchiale, e si sedeva nell'ultimo banco. Non aveva libri di preghiere con sé perché non sapeva leggere; non aveva tra le mani nemmeno la corona del Rosario. Ma ogni giorno, alla stessa ora, arrivava in chiesa e si sedeva nell'ultimo banco, e guardava fisso il Tabernacolo. Il Vianney, incuriosito da quel modo strano di fare, dopo aver osservato quel suo parrocchiano per qualche giorno, gli si avvicinò e gli chiese: "Buon uomo...ho osservato che ogni giorno venite qui, alla stessa ora e nello stesso posto. Vi sedete e state lì. Ditemi: cosa fate?". Il contadino, scostando per un istante lo sguardo dal Tabernacolo rispose al parroco: "Nulla, signor parroco...io guardo Lui e Lui guarda me".
È tutta questione di fissare lo sguardo.