Omelia (31-01-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 1,21-28

"(...) Insegnava come uno che ha autorità...": questa precisazione viene ripetuta due volte in poche righe di Vangelo. Evidentemente la qualità dell'insegnamento di Gesù era parecchio diversa da quella degli scribi. Infatti, il Signore non apparteneva alla categoria degli scribi, non aveva seguito il curriculum studiorum ordinario; suo padre era un semplice falegname...
A quei tempi, chi desiderava diventare uno scriba, esperto nelle Sacre Scritture, si metteva al servizio di un magister, un rabbino accreditato presso le autorità religiose locali. Gesù non era un rabbino, un magister; e più di una volta, diffidò i Dodici dal farsi chiamare "Maestro"... Insomma, Gesù non possedeva i requisiti prescritti per essere annoverato tra le auctoritas, tra gli esperti della Legge e dei Profeti.
Potete immaginare quanto urtasse i Sommi Sacerdoti, i capi religiosi del popolo e i rabbini, l'autorevolezza che la gente riconosceva al figlio di Maria e per più di un motivo. Si chiedevano: da dove gli viene questa sapienza? Loro si erano fatti un mazzo tanto - studio, esami, concorsi, pubblicazioni scientifiche per guadagnare borse di studio risicate, interviste, apparizioni televisive, anni e anni di gavetta non retribuita,... una lenta e faticosa scalata dei gradi gerarchici successivi, per conquistare, magari al termine della carriera - carriera? -, una cattedra universitaria, e poter finalmente scrivere accanto al proprio nome, "Professore Ordinario di...".
E poi arriva un Gesù qualunque, che non aveva natali illustri, il quale dispensa gratuitamente consigli e sputa sentenze a destra e a sinistra e per qualunque situazione...
Per di più, questo Gesù qualunque dà ordine agli spiriti impuri, ai demoni, e questi gli obbediscono pure!...di malavoglia, ma gli obbediscono. Perché lo conoscono, e lo temono.
Mi ha sempre colpito il fatto che, nel Vangelo, a riconoscere il Signore come "Santo di Dio", come il Cristo, siano i demoni, oppositori per definizione, nemici assoluti della Verità,...
Il grande Mentitore, davanti a Gesù, dice il vero. Del resto, per rifiutare Gesù, ci vuole fede!
Paradossalmente, fanno più male alla fede coloro che - perdonate l'anacoluto - di Dio non gliene frega niente, piuttosto che quelli che negano la Sua esistenza, o comunque gli sono ostili.
Tanto credere, che non credere esigono un atto di fede. E invece, molti non credono in Dio - o, almeno, dicono di non credere - senza tuttavia sapere niente di Lui.
Con l'espressione "conoscere Dio" intendo conoscere il Vangelo, averlo approfondito, aver confrontato il proprio pensiero con quello di Cristo, le proprie scelte di vita con quelle vissute e predicate da Lui... esserci posti almeno una volta la domanda: dove sto andando?
"Quella verdura non mi piace!"; "Ma l'hai mai assaggiata?"; "No!"; "Perché non provi, una volta, ad assaggiarla?"; "Nooo! Perché dovrei assaggiarla, se non mi piace?"; "...una volta sola! dai!!"; "Uffa!...lasciami in pace!"
Ecco la parola d'ordine: "Lasciami in pace!". La fede non lascia in pace!
"Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?" Ecco che cosa succede, quando lasciamo che Dio si intrometta nella nostra vita: è finita la tranquillità, è finita la pace...
Ma Dio, il nostro Dio, non è il re della pace? poco prima di essere arrestato, Gesù l'aveva promesso: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace..." (cfr Gv 14,23ss). Sì, ma non quella che siamo abituati a pensare noi, o, come la chiama il Signore, la pace del mondo; la pace cristiana non è assenza di discussioni; pace cristiana non significa non dissentire... Questo è, tutt'al più, l'amor del quieto vivere: quella situazione in cui, per timore di scatenare litigi, si preferisce non affrontare i problemi; così, almeno, si sta in santa pace!
Ma che vita è?
E poi, chi l'ha detto che il confronto acceso sui problemi sia sinonimo di lite? Chi lo pensa, pensa in base ad uno stereotipo. C'è modo e modo di discutere: non esiste solo la "modalità scontro violento". È una questione di civiltà e di rispetto, prima ancora che (questione) di fede.
A proposito di stereotipi, in questa materia ce ne sono tanti, di stereotipi; ne cito alcuni:

- il pensiero diverso (dal mio) è sbagliato;
- il dissenso è un pretesto per scatenare una lite;
- più si alza la voce, più il proprio pensiero acquista valore;
- discutere intorno ad una questione è un escamotage per denigrare e, financo demolire, l'altro;
- il rispetto dell'altro è indizio di debolezza; prepotenza e prevaricazione, invece, sono segno di
forza;
- il silenzio è la tacita ammissione di aver torto.

Paradigma, modello perfetto di comportamento è ancora una volta quello di Gesù, in occasione del processo intentato contro di Lui: il suo silenzio non era affatto la tacita ammissione di colpevolezza, ma il segno di affidamento ad una Volontà superiore, quella del Padre.
Ma su questo fatto ritorneremo in occasione della Domenica di Passione.
Oggi non possiamo, tuttavia, tacere l'ordine che Gesù impartì agli spiriti impuri, di tacere: ci viene incontro la famosa pagina dell'Ecclesiaste, oggi Qoélet, cap.3: "C'è un tempo per tacere e un tempo per parlare, (...) un tempo per la guerra e un tempo per la pace." (vv.2-8). Verrà l'ora nella quale si potrà confessare che Gesù è il Cristo, il Santo di Dio; e questa ora è l'ora della croce! La missione di Gesù è appena cominciata, e questo nome, il Signore dovrà guadagnarselo. Non si trattò di recitare una parte, di seguire un copione già scritto. Non c'è tempo per affrontare il tema della prescienza di Dio, della coscienza di Gesù quanto al suo destino; sono argomenti delicati, per i quali, si rischia di cadere nei soliti luoghi comuni, stereotipi e conclusioni affrettate.
Invoco pertanto il V Emendamento della Costituzione americana, ma ancor più (invoco) il suenunciato libro di Qoélet: ora non è l'ora. Abbiate pazienza!
Saper aspettare non è sintomo di viltà, ma di coraggio: "Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime", dice il Signore (cfr Lc 21,19).