Omelia (07-02-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il vero vincitore del dolore Il presente episodio evangelico fa seguito al precedente della scorsa Domenica, che si era interrotto con lo stupore della gente che vede Gesù compiere miracoli e parlare con autorità. Con altrettanta padronanza e sicumera Gesù domina le forze del male con i suoi esorcismi. Sempre con la stessa autorità Gesù interviene sul malessere fisico e spirituale delle persone che gli si avvicinano comunicando con i suoi gesti la salvezza e la misericordia. Sembra innanzitutto che, come ai demoni, Gesù comandi alle infermità di lasciare in pace le persone che da esse sono afflitte, come nel caso della suocera di Pietro, ammalata di febbre. Secondo quanto scrivono taluni, non si tratta di una influenza fra quelle che ai nostri giorni fanno sorridere, ma di una seria infermità che sconvolge e destabilizza tutto il fisico e, come tutte le altre malattie, nel mondo giudaico era conseguenza di una colpa grave. A differenza che nel presente testo di Marco, nella versione di Luca si dice che Gesù "comandò alla febbre di lasciarla" e la febbre subito sparì. Con autorità e disinvoltura, mostra la sua autorità sul malessere fisico per guadagnare un beneficio a chi ne è affetto. Le versioni di Marco e di Matteo sullo stesso episodio si incentrano di più sull'amore, sulla misericordia e sulla delicatezza con cui Gesù tratta questa donna oppressa dal male; la guarigione avviene non soltanto in forza di una capacità straordinaria e miracolistica, ma anche grazie a un senso di vicinanza spirituale, di compassione e di solidarietà che accompagna il gesto terapeutico della guarigione. Verso il male fisico, come già verso i demoni, Gesù si mostra autoritario e ben disposto, risoluto e imperterrito. Verso la persona del malato si mostra attento e premuroso e non si risparmia quanto all'amore e alla vicinanza. Il nemico da sconfiggere infatti è il male e non l'ammalato. Se consideriamo poi che la malattia nell'Antico Testamento è sempre legata a una colpa grave, con il malessere fisico anche il peccato diventa per Gesù oggetto di debellamento e di distruzione, ma l'uomo peccatore resta sempre prezioso, unico e irrinunciabile: va salvato e recuperato. L'autorità di Gesù è commista quindi alla misericordia, anche a proposito dei numerosi altri miracoli di cui narra l'evangelista Marco, tuti propensi a descrivere la stessa forza risanatrice di cui è capace l'amore e la misericordia. "Il Signore ha dato il Signore ha tolto, come piacque al Signore così è avvenuto. Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?" Sentenziava il giusto Giobbe mentre faceva esperienza dell'atrocità della malattia che lo stava gravando e un po' alla volta, in mezzo al turbine, andava apprendendo che il male è un'occasione di incontro e di dialogo con Dio. Certamente il problema del dolore e della sofferenza, accompagnato dalla fame, dalla violenza e dalle numerose guerre che falcidiano tante vite umane innocenti accrescono in noi la domanda sulla possibilità di conciliare la bontà di un Dio giusto con l'evidenza dell'orrore e della distruzione e ci inducono alla tentazione dello scoramento e della sconfitta della fede. Ciò soprattutto quando la sofferenza grava sulle persone innocenti, fedeli e immeritorie di castighi, su persone ora costrette a restare allettate in sedia a rotelle dopo anni di lungo e onesto lavoro a beneficio della famiglia e del prossimo; ancor di più quando - come già evince il libro del Qoelet - "i malvagi vincono e i poveri piangono" e i patimenti sembrano essere destinati solo agli innocenti. E' difficile accettare il dolore in situazioni estreme e struggenti; quasi impossibile accogliere l'idea di un Dio amore quando si geme in preda allo strazio e alla solitudine nel male. Non è raro però il caso di persone capaci di comunicare il loro sorriso e il loro messaggio di speranza proprio dalla loro sedia a rotelle o dal letto d'ospedale dove giacciono vegetali. Tante persone che con pazienza e risolutezza nonostante la paralisi e la degenza atroce sanno infondere fiducia e speranza ad altri sono il contrassegno che davvero la croce di Gesù si trasforma sempre nella gloria e nella resurrezione. Persone che nella prova fisica e nell'atrocità del soffrire sono di sprone ad altri nel coraggio e nella perseveranza attestano a mio giudizio (mia esperienza) non soltanto che Dio esiste, ma che non può che esistere come Dio crocifisso e risorto. E' infatti è lo stesso Signore che continua a sostenerci tutti nella prova e nella sofferenza, a incuterci fiducia, coraggio e determinazione, dandoci le motivazioni valide per l'accettazione della malattia. La malattia diventa un giogo sempre più leggero e sostenibile quando la si sopporta animati dalla speranza e dal coraggio; deleterie e distruttive quando invece siano accompagnate dalla disperazione e dallo sconforto. Il coraggio nessuno lo da' a se stesso, diceva Manzoni. Occorre che ce lo infondiamo a vicenda e ne siamo latori gli uni agli altri. Ma se c'è qualcuno in grado di infondere fiducia e coraggio nella prova, questo è proprio il Dio crocifisso che non ha esitato a sottoporsi al dolore e ora fa sua ogni sofferenza umana. Ovviamente perché questa non resti delimitata in se stessa, ma perché si trasformi in occasione di gloria. Nel suo cristianesimo profondo e sentito, Pascal affermava: "Solo un essere invidioso può godere del mio soffrire". |