Omelia (14-02-2021)
fr. Massimo Rossi
Commento su Marco 1,40-45

La prima lettura è tratta dal Levitico e descrive la situazione di un malato di lebbra: al tempo in cui veniva scritto il libro, la scienza, così come la concepiamo oggi, non esisteva ancora...
Con "lebbra" si identificava qualsiasi malattia grave della pelle, compresa la lebbra, naturalmente. Le "regole di purità" non riguardavano solo l'aspetto medico, o in genere fisico-clinico della persona, ma interpretavano le diverse patologie dal punto di vista morale: la malattia grave era valutata un epifenomeno, l'effetto esterno di uno stato di impurità interiore; la persona colpita dal morbo era giudicata indegna di vivere nella società. Veniva letteralmente cacciata dal consesso umano e costretta a vivere (?) lontano dal centro abitato, in luoghi deserti; si evitava così il rischio del contagio. Altro che oggi!
Un aspetto cruciale - per noi, certo, non per loro - era la contaminazione tra medicina e fede, tra terapia e pratica rituale: a partire dalla convinzione, secondo la quale esisteva una corrispondenza diretta tra la salute del corpo e quella dello spirito, colui che ne doveva constatare la gravità non era il medico, ma il sacerdote. Quest'ultimo era una sorta di sciamano.
Lo sciamanesimo, studiato appunto dall'antropologia e dalla storia delle religioni, è un insieme di conoscenze, di pratiche religiose magico-rituali riscontrabili nelle culture primitive antiche e attuali: in base ad una concezione arcaica del mondo e dell'universo, lo sciamano era considerato intermediario professionale tra il mondo degli uomini e quello degli spiriti.
Era ancora il sacerdote a constatare autorevolmente la guarigione. Colui che era dichiarato ufficialmente guarito pagava la parcella, prescritta da Mosè, precisa il Vangelo.
Del resto, anche i medici e i sacerdoti devono pur vivere!
La relazione tra religione e malattia, tra fede e salute fisica è importante, direi fondamentale, nel nostro attuale rapporto con Dio e con la Chiesa: tutto dipende dalla natura di questa relazione... Lungo l'arco della storia, gli interventi celesti per debellare una malattia, o una pandemia come la nostra, sono sempre stati miracolosi, cioè non ordinari, ma eccezionali...
Traiamone le debite conseguenze e sappiamoci regolare...

La vicenda narrata nel Vangelo la conosciamo. Colpisce l'atteggiamento di Gesù nei confronti del lebbroso che si avvicina a Lui per chiedere di essere ‘purificato'.
Da quel giorno, il Figlio di Dio: "non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.", ci informa l'evangelista Marco al cap.1. Immediata l'interpretazione teologica del fatto: il Messia "si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato...", scrive il profeta Isaia (53,4-6).
Dunque, fin dall'inizio del suo mandato, il Signore si trovò costretto a condividere la sorte dei lebbrosi, coloro che erano moralmente considerati non-più-vivi, indegni di stare tra i loro simili - familiari, amici, compaesani,... - rigettati dalla società, come altrettanti capri espiatori delle peggiori sciagure umane.
La privazione degli affetti, l'impossibilità di intrattenere una qualsiasi relazione sociale costituisce la punizione peggiore che si possa infliggere ad un uomo; la cella di isolamento rappresenta infatti il più grave provvedimento restrittivo della libertà, previsto tutt'oggi dal codice penale.
Anche a questo riguardo, la questione COVID ci dà, purtroppo, una drammatica lezione: quanti malati ricoverati in terapia intensiva sono stati condannati senza colpa alla completa solitudine, e molti di loro sono morti così, da soli... Ricordiamoli nella nostra preghiera!

Vi dicevo poc'anzi che mi colpisce la reazione di Gesù che immediatamente segue il miracolo: Ammonendo severamente colui che era stato lebbroso, "lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro.»" (v.44).
Potremmo interpretare il comportamento del Nazareno come la conseguenza dell'incontro: nel senso che il divieto sancito a carico del malato di lebbra di avvicinarsi alle persone, imponeva anche alle persone di non avvicinarsi a lui: per l'alto rischio di contagio, frequentare un lebbroso rendeva potenziali untori della comunità.
Gesù non rifiuta di imporre le mani, toccando il malato - l'attività taumaturgica rientrava tra i poteri del Messia -; ma conviene evitare di essere colti da occhi indiscreti in situazioni compromettenti, che potrebbero nuocere al buon nome. Non che gli importasse granché, al Figlio del falegname, d'essere visto in compagnia di persone dalla dubbia reputazione; e questo andrà ad aggravare il giudizio dei sommi sacerdoti, degli anziani e dei capi del popolo, su quell'uomo dai natali quantomeno discutibili, e dai gusti relazionali ancor più discutibili; o, come ebbero a dire: "(...) un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori..." (Mt 11,19).
Anche questo fatto ha un valore eminentemente teologico: si tratta del segreto messianico, del quale tutti siamo ormai a conoscenza: il Signore è appena all'inizio del suo ministero e i giorni della Passione sono ancora lontani; quel nome al di sopra di ogni altro nome (cfr. Fil 2), se lo deve ancora guadagnare, o, direbbe il quarto Evangelista: "Non era giunta la sua ora".
E, a proposito della Passione, questa è l'ultima domenica del cosiddetto Tempo Ordinario; il prossimo mercoledì dovremmo celebrare il rito penitenziale delle ceneri: condizionale d'obbligo, voi lo capite, perché l'emergenza COVID impone di ridurre al minimo il contatto fisico e dunque le liturgie,... Il gesto di imporre le mani, in tempo di pandemia, è oggettivamente pericoloso, proprio come lo era ai tempi di Gesù, imporre le mani su un malato, su un cieco, su un cadavere; la parabola del buon samaritano insegna.
Questo non ci impedisce tuttavia dall'invocare la misericordia di Dio sulle infermità nostre e altrui. Dio ci può purificare; Dio ci vuole purificare! E lo farà se lo vorremo anche noi, così come ci ricorda Marco, nel Vangelo di oggi.