Omelia (07-02-2021)
diac. Vito Calella
Nel nostro “giorno” vivere è servire, centrati nella “notte” di Gesù

Da domenica scorsa stiamo accompagnando Gesù nella sua "giornata di Cafarnao", un arco di tempo da leggere simbolicamente come la "giornata" della nostra personale e comunitaria esistenza cristiana di discepoli del Figlio del Padre.
Vogliamo andare oltre il racconto di cronaca, perché l'evento della morte e risurrezione di Gesù ci permette di avere uno sguardo più profondo nell'ascoltare e custodire in noi ciò che Gesù ha detto e fatto, attestato nei Vangeli.
Dell'episodio dell'espulsione dei demoni usciti dall'uomo ascoltatore dell'autorevole parola di Gesù, presente nella sinagoga, custodiamo già nel cuore e nella mente la potenza della parola di Dio, se ciascuno di noi la prega, la fa risuonare dentro, affrontando la lotta vincente contro le varie forze egoistiche del male, che ci rendono veramente impuri e disumani nelle nostre relazioni.
Oggi la giornata di Cafarnao continua e ci porterà oltre il giorno solare, per addentrarci nel buio della notte di Gesù fino all'alba del nuovo giorno.
Tre scene compongono il Vangelo di questa domenica.
La prima è ambientata nella casa di Simone e Andrea, ancora in pieno giorno, ed è caratterizzata dalla guarigione della suocera di Pietro, che era a letto con la febbre.
In questa scena risalta il prendersi cura dell'altro che soffre, perché i discepoli coinvolgono Gesù mettendolo al corrente dell'infermità della suocera di Pietro:«Subito gli parlarono di lei» (Mc 1, 30b).
Segue la bellissima sequenza delle azioni di Gesù, senza parole, il suo «avvicinarsi, farla alzare, prenderla per mano» (Mc 1,31a). Il risultato è la scomparsa della febbre e l'azione della suocera guarita: «ella li serviva» (Mc 1,31b).
Se domenica scorsa, immedesimandoci nell'uomo posseduto dai demoni, ci siamo sentiti interpellati a sperimentare anche noi la potenza liberatrice della parola del Signore, quando ci disponiamo veramente alla sua lettura orante, giorno dopo giorno, ora, immedesimandoci nella suocera di Pietro siamo interpellati a dare una risposta sul tipo di febbre che ci accompagna nelle nostre relazioni quotidiane e sullo stile di vita che vogliamo scegliere, frutto dell'incontro orante con la potenza liberante della parola di Dio, ascoltata, meditata e custodita in noi.
La febbre che deteriora le nostre relazioni, non quella del covid, rappresenta il voler essere i primi rispetto agli altri, come dimostreranno proprio due dei discepoli testimoni della guarigione della suocera di Pietro: Giacomo e Giovanni, che un giorno chiederanno a Gesù di sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, quando Gesù sederà nella sua gloria (Mc 10,35-40). Oppure è la febbre che può serpeggiare nelle comunità cristiane tra i ministri ordinati e i laici impegnati in parrocchia: la febbre dello «spirito di rivalità e di vanagloria» (Fil 2,3). Se persiste questa febbre in noi, allora è segno che la parola liberatrice del Signore non è ancora divenuta "pane quotidiano" della nostra preghiera. Vuol dire che i nostri occhi sono ancora ciechi nel percepire quante persone qui ed ora ci vogliono bene e si preoccupano di noi, desiderando ardentemente che ciascuno di noi, febbricitante di autorealizzazione, possa essere visitato personalmente dai gesti di Gesù rivelativi della misericordia del Padre, cioè dal suo avvicinarsi alla nostra esistenza, dal suo aiutarci ad "risuscitare" dalla nostra condizione di tristezza e disperazione (ben descritta nello sfogo doloroso Giobbe, ascoltato oggi), e dal suo prenderci per mano e rispettarci nella nostra condizione di povertà, continuando a confidare in noi.
L'anziana suocera di Pietro, febbricitante, rappresenta ora ciascuno di noi nella radicale povertà della sua condizione umana, visitato dal Cristo, che, grazie all'incontro con Lui, che ci parla e si fa tutto dono per noi nell'eucaristia, ci fa rinascere a vita nuova. Il segnale della nostra conversione / rinascita è il scegliere lo stile di vita della diaconia, cioè del servizio gratuito, per dare un senso pieno alla nostra esistenza, finalmente liberata dalla febbre dell'egoismo, dell'orgoglio, della superbia, dell'invidia, della competizione, della vanagloria, per donarci silenziosamente e gratuitamente agli altri come Gesù, che «non è venuto per servire, ma per dare la sua vita in riscatto di molti» (Mc 10,45).
Tutta la "giornata" della nostra esistenza diventi dunque un vivere guidati dall'incontro orante con la parola del Signore (guarigione dell'uomo indemoniato) per assumere giorno dopo giorno lo stile di vita della diaconia, del servizio silenzioso e gratuito verso gli altri (guarigione della suocera di Pietro).
Per essere fedeli a questo stile di vita orante con la parola di Dio e praticante con il servizio, siamo invitati a centrare continuamente lo sguardo sul mistero della morte e risurrezione di Gesù. È il senso più profondo del "fine giornata" raccontato dall'evangelista Marco.
La seconda scena del vangelo di oggi è ambientata davanti alla porta di casa di Simone e Andrea. Il giorno solare è finito, siamo di notte.
È la prima delle sette notti raccontate nel vangelo di Marco, ed è caratterizzata dalla guarigione di «molti ammalati e indemoniati» (Mc 1,32-33). Durante il giorno Gesù aveva scacciato i demoni da una sola persona nella sinagoga di Cafarnao e aveva guarito soltanto la suocera di Pietro nella sua casa; durante la notte l'attività si moltiplica passando dall'uno ai molti. La notte rappresenta simbolicamente il "buio" della passione e della morte di Gesù, quando, da agnello immolato e servo di JHWH, inchiodato e morto sulla croce, deposto nel buio del sepolcro, si caricherà «le nostre infermità e si addosserà i nostri dolori» (Is 53,4a). I molti guariti nella notte di Cafarnao sono già un'anticipazione del significato di tutta la missione del Figlio del Padre, che dalla sua «condizione di Dio» (Fil 2,6) si è veramente preso cura della «stirpe di Abramo», cioè della nostra umanità (Eb 2,16) e, nella sua «condizione di servo» (Fil 2,7), «è venuto per dare la vita in riscatto di molti» (Mc 10,45). «Per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18), sia fisica, sia psichica, sia spirituale.
Questa di Cafarnao è la prima delle sette notti del vangelo di Marco, che culmineranno nella notte del sepolcro: quando la morte di croce sembra decretare il fallimento della sua missione, in realtà è l'inizio della nostra liberazione da ogni sorta di male. La seconda notte sarà quella sul lago in tempesta con Gesù che dorme nella barca (Mc 4,35 ss); la terza notte sarà di nuovo ambientata sul lago in tempesta, quando lui camminerà sulle acque (Mc 6,47 ss); la quarta notte sarà già ambientata a Gerusalemme, prima della sua passione, dopo il suo ingresso messianico nella città santa (Mc 11,11); la quinta notte sarà quella successiva, dopo la purificazione del tempio (Mc 11,19), la sesta notte sarà quella della cena eucaristica e della sua agonia nell'orto del Getsemani (Mc 14,17 ss) e la settima sarà quella della deposizione del suo corpo crocifisso nel sepolcro, in attesa del mattino di Pasqua (Mc 15,42 ss).
La terza scena è ambientata in un luogo deserto fuori del villaggio di Cafarnao, al mattino presto, cioè nei primi albori del nuovo giorno, ed è caratterizzata dallo stare solitario di Gesù in preghiera interrotto bruscamente dalla ricerca dei suoi discepoli e dalla scelta di fare di tutta la regione della Galilea il luogo di annuncio del regno di Dio (Mc 1, 35-39).
Noi la immaginiamo una scena poetica, che riflette la nostra nostalgia di belle e rare esperienze forti di incontri con Dio. Pensiamo invece alla radicale solitudine di Gesù nella notte profonda prima dell'alba.
È un richiamo alla notte della morte, all'assoluta solitudine del corpo crocifisso di Gesù nel sepolcro. Nel buio totale della notte, è rimasta la fedeltà alla comunione con il Padre. La preghiera silenziosa e solitaria di Gesù è un rinnovare la fiducia dell'esserci del Padre in comunione con il Figlio, dell'esserci del Padre in comunione con ciascuno di noi, anche quando la nostra preghiera è totalmente arida, quando non sentiamo pace, non abbiamo nessuna illuminazione spirituale, ci sembra tempo perso perché non cambia nulla, siamo nella notte e siamo senza l'appagamento delle nostre relazioni con gli altri.
I momenti solitari di preghiera di Gesù durante la notte forse non erano così poetici come possiamo immaginare. Era il tempo della prova interiore, quando, stanchi della giornata spesa per gli altri, ci sentiamo usati e non capiti, quando ci sembra che il nostro donarci gratuito sembri inutile e ingenuo. La preghiera in solitudine nella notte è rinnovare la fiducia nell'«Io ci sono» del Padre nell'aridità della mancanza di risposte al nostro donarci, nel buio notturno del nostro fare la volontà del Padre senza comprenderne il senso, come Gesù. Ma è una notte in attesa dell'alba. Importante è sentire la comunione fedele del Padre nel buio e nel freddo della notte, soli a tu per tu nella lotta interiore del silenzio, come Gesù.
Il giorno nuovo viene e ci rimette in cammino disposti a diventare "missione" insieme con Gesù, nel nome di Gesù morto e risuscitato, perché c'è urgenza di andare ad annunciare e realizzare il Regno del Padre, come Gesù per le strade della Galilea e come Paolo per le strade del mondo, fattosi servo di tutti e appassionato trasmettitore della lieta notizia del Vangelo