Omelia (07-02-2021)
Michele Antonio Corona
Dalla sinagoga alla casa di Simone fin alla porta della città: Tutti ti cercano!

Il filo rosso che unisce le letture di questa domenica è meno evidente di altre occasioni.

Il ciclo liturgico nel Tempo Ordinario presenta una voluta connessione tra la prima lettura e il vangelo, mentre la seconda è proposta attraverso una lettura discontinua delle lettere di Paolo. Per questo è necessario porre attenzione alla preghiera di colletta propria per trovare la chiave di lettura: la condivisione del mistero del dolore coi fratelli.

Sappiamo nella nostra esperienza di vita quanto questa tema ci interpelli e ci metta in questione. Quante domande ci si pone quando sopraggiunge un lutto, quando si scopre una malattia, quando si vede una persona amata soffrire o quando il dolore morale attanaglia la nostra esistenza. Nei giorni scorsi è stato drammatico scorgere il dolore in una mamma che raccontava come fosse stata brutalmente uccisa la figlia. Il dolore ci accomuna talmente che sembra essere il denominatore comune della persona umana.

Ecco che il vangelo ci mostra un movimento dirompente compiuto da Gesù: la sua opera di annuncio e di guarigione parte dallo spazio chiuso della sinagoga a quello intimo e familiare della casa al confine spalancato della porta della città. Nessun luogo gli è estraneo e niente è escluso dalla sua opera di prossimità. In ognuno di quei luoghi egli guarisce, risana, libera, scaccia il male.

Ma questa opera di salvezza, che coinvolge la totalità della persona e non solo il suo corpo, deve essere accompagnato dalla familiarità col Padre e coi fratelli, in particolar modo rappresentati dai discepoli.

Tutti ti cercano non è un buon motivo per lasciarsi mangiare da chi vuole solo usare e possedere Gesù. Non si è lasciato ammaliare nelle tentazioni nel deserto dal diavolo che cercava di sedurlo col potere e il successo, e non lo permette neppure ai tanti guariti e liberati. È necessario andare altrove: allontanarsi dai sentieri noti per battere strade nuove.

Giobbe nella prima lettura sembra anticipare questo atteggiamento: davanti al male non si può ripetere la stessa nenia dei suoi amici che sostengono che il male sia causato da qualche peccato. Giobbe è desideroso di capire, di invocare Dio, di chiedere a lui conto della sua vita e della sua sofferenza.

Solo Dio, che risana i cuori affranti e fascia le loro ferite, è capace di dare ragione della nostra esistenza spesso travagliata e sfilacciata, ma illuminata dalla sua grazia. Come per la suocera di Pietro, la nostra vita è sollevata e guarita da Lui.

Questo spalancamento di orizzonte operato da Gesù e sperato da Giobbe, viene proposto da Paolo come il nocciolo stesso dell'evangelizzazione: mi sono fatto tutto a tutti.

Nella vita cristiana non esistono né sconti né saldi. Ogni volta che si risparmia qualcosa per se stessi la si perde, mentre quando la si spende totalmente la si guadagna.

Ecco che l'apostolo svela il grande trucco della generosità di Dio: tutto faccio per il vangelo, per diventarne partecipe anche io. Più ci si dona al vangelo e più si diventa vangelo vivente, poiché Gesù sceglie di trasformarci in lui.