Il Vangelo di questa quinta domenica del tempo ordinario ci propone "la giornata tipo" di Gesù: è sabato, giorno festivo per gli Ebrei. Dopo averlo santificato in sinagoga, Gesù va nella casa di Simone e Andrea. E lì si prende cura della suocera di Simone. Quindi si prende cura degli indemoniati e dei malati, il tutto alimentato dalla preghiera. Questo testo oltre a farci "intuire" la divinità di Cristo, ci rivela come in Gesù sia giunto in mezzo a noi il Regno di Dio. «L'urgenza che porta Gesù a operare guarigioni di sabato non risiede nelle condizioni soggettive dei malati (più o meno gravi), ma è connessa alla condizione oggettiva attuale del mondo: l'ora è giunta, il Regno si è fatto vicinissimo, la salvezza di Dio visita l'uomo. Con il sabato di Gesù" è ormai giunto il compimento dell'opera della redenzione e della salvezza» (L. Manicardi).
Noi soffermiamo l'attenzione sulla guarigione della suocera di Pietro. Anzitutto, entrati in casa, gli parlano di lei, allettata per la febbre. Abbiamo qui la bellezza e l'importanza della preghiera di intercessione. Chissà quanto sul serio la prendiamo: "prega per me", "pregherò per te", ma poi lo facciamo? Siamo certi che pregare per gli altri è una grande opera di carità? Gesù non tarda ad intervenire, anzi, il testo ci dice che la prese per mano e la fece alzare. Il contatto è la prima forma di conoscenza, di comunione e di comunicazione. Prendere per mano chi soffre significa fargli sentire vicinanza, affetto. Dio realmente ci tocca. Ci tocca interiormente con la sua grazia, specie con i sacramenti. Oltre al contatto, la mano è il segno dell'azione, del potere, della capacità di fare. Prendendoci per mano, il Signore ci comunica la sua stessa capacità, il suo stesso potere. Entrando in comunione con Lui, diventiamo capaci di servire.
«Il senso di tutti i miracoli di Gesù, oltre che a manifestare se stesso, è quello di riconsegnare l'uomo a se stesso. Il miracolo di oggi dà senso a tutti gli altri... Di per sé questo miracolo è "semplice", quasi banale. Gesù si limita a guarire una donna dalla febbre. Quando noi pensiamo al miracolo, pensiamo solo a qualcosa di prodigioso. Ma il miracolo è un SEGNO. Il segno in sé non è importante; importante è quello che significa, ciò a cui rimanda. Ci invita ad andare oltre. Qui il punto è ciò che segue la guarigione: cioè la suocera guarita dal male e dalla febbre SERVIVA. Il vero miracolo è quello di essere capaci di servire. Mentre l'egoismo si serve dell'altro e lo schiavizza, Cristo viene a renderci simili a Dio che è amore, che significa servire» (p. Silvano Fausti).
Il verbo usato è diakonéin (diaconia, servizio) ed è all'imperfetto, vuol dire un'azione che perdura nel tempo. Questa donna ha fatto del servire il suo stile di vita, non una volta ma sempre. È lo stesso termine usato da Gesù quando dirà di «non essere venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (cf Mc 10,45).
Questa donna pertanto incarna il discepolo che vive lo stile del Maestro. Sarà la grande lezione che dovranno imparare i discepoli: non dominare, servire. Questa donna guarita, serve. In fondo noi stiamo bene quando ci occupiamo di qualcuno. Il guarito, chi sta bene, è chi sa prendersi cura dell'altro. Potremmo dire che questo mondo si divide in due grandi categorie: chi si prende cura, e chi ha sempre bisogno dell'altro, in cerca di continui appetiti relazionali, pozzi senza fondo. Quante problematiche umane e psicologiche sono causate e alimentate dal ripiegamento egoistico su di sé. Quanti ammalati a causa della febbre dell'egoismo, sempre a piangersi addosso, rimuginano su ciò che gli altri dovrebbero fare per loro o su ciò che non fanno, sempre a centellinare favori ricevuti e a rinfacciare quelli non ricevuti. Ed eccoli inchiodati alla tristezza, in balia delle onde del malumore. Gesù viene a guarirci, a prenderci per mano, a risollevarci. Ci tocca con la sua grazia e ci invita ad alzarci, a lasciare il letto del piagnisteo, perché possiamo donarci per il bene degli altri, per regalare gioia a chi abbiamo accanto. E questo vale per le piccole come per le grandi cose e inizia dal chiedersi: "come posso amare di più Tizio? come posso rendere felice Caio? Cosa posso fare per Sempronio?". Ecco, prima la suocera doveva essere curata, ora si prende cura. Ecco il passaggio dalla morte alla vita, come dirà San Giovanni: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1 Gv 3,14). Non temiamo di "lasciarci prendere la mano" da Cristo e dal Vangelo. Egli è venuto a darci vita nuova!
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