A scuola di diaconìa
La suocera di Simone è la prima di una lunga serie di donne che, da discepole, divengono maestre del Maestro.
Nessuna presunzione da parte loro. È Gesù stesso che, allenato all'ascolto e alla delicata comprensione dell'altro alla scuola di un'altra donna - la mamma Maria -, sa fare tesoro del bene che intravede in chi incontra. Così della signora malata e guarita dalla febbre, Gesù coglie l'arte della diaconia (questo è il verbo usato nel greco: diakonein - v. 31).
È davvero significativo l'atteggiamento di lei. Si potrebbe scherzare, nel pensare alla scena, e ritenere vantaggioso per il Signore con i suoi primi discepoli di rimettere in piedi la massaia di casa per poter pregustare un succulento banchetto (e chissà se il Signore risorto, nel cucinare pesci alla brace per i suoi, non facesse tesoro anche della scuola culinaria di tante donne galilee). Più seriamente, accade che la maniera di ringraziare della suocera di Pietro è quella di mettersi a servizio degli ospiti, senza indugio. È la fretta dell'amore grato. È la ridondanza del dono ricevuto, che rimane dono. È la vitalità della diaconia, che trasforma in offerta quanto è stato gratuitamente accolto.
L'economia della casa è parabola dell'economia della salvezza.
Non si tratta di trattenere e risparmiare, per avere così da parte qualche garanzia di futuro. Si tratta piuttosto di mettere a disposizione, di spargere e condividere, perché ciò che si dona si moltiplica. Anche da questo, probabilmente, avrà ricavato saggezza Gesù, da applicare nei momenti di commozione e di distribuzione dei pani e dei pesci alle folle affamate che lo seguiranno.
L'economia della diaconia parte da una condizione di debolezza e di bisogno che viene riconosciuta, e dalla quale ci si rende conto di non poter uscire da soli. Vi è in questa condizione, che nell'episodio evangelico si evidenzia nella malattia fisica, così emblematica per dire la verità del nostro essere creature, uno spazio che si apre all'altro, rendendo possibile l'incontro. La reciprocità necessita della mancanza, della povertà. Chi si ritiene troppo ricco di sé e troppo pieno dei propri meriti e successi, non lascia posto affinché vi sia un prossimo.
Il servizio, prima che essere dato, va accolto come esperienza di debito corrisposto.
La suocera di Simone, accaldata di febbre che, chissà, è parabola del desiderio, diviene più o meno consapevolmente spazio di vocazione. Gesù può avvicinarla, persino toccarla perché non trova difesa, perché la fragilità le ha smantellato le resistenze. Quando la ferita si apre ad una visita, ecco che si è davvero vulnerabili: il che comporta un rischio, perché la relazione può far male e ferire ulteriormente. Ma è la relazione stessa anche l'unica possibilità di guarigione. La donna si lascia toccare e Gesù non si ritrae. La diaconia scaturisce dall'intimità, non dall'assistenzialismo.
L'esperienza del toccare fa parte di un coinvolgimento per nulla scontato.
Gesù accetta di farsi carico, di portare dentro di sé il peso, la paura, lo smarrimento. Chi tocca l'impuro - e impuro è il sangue, la ferita aperta, l'incapacità di generare vita - diventa impuro; oppure, nel caso di Gesù, l'unico che è totalmente puro, rende puro anche l'altra. Toccare è espressione di un rapporto che non si limita all'aiuto immediato, materiale, provvisorio. Nella diaconia si diventa l'uno per l'altra.
Gesù lo vive. Ma è la suocera di Simone (che nome avrà avuto, questa donna?... forse quello di tutte le donne innamorate del Signore...) a manifestare la verità di tutto ciò. Perché è lei che, sollevata, cioè risorta, trasformata alla stregua del Maestro, si pone verso di Lui e dei suoi allo stesso modo: da serva, da diacona.
Gesù impara perché vede in lei e comprende quello che accade costantemente in Lui.
È per questo che nella notte, dopo le lunghe fatiche della predicazione, delle guarigioni di infermi e delle battaglie vinte con i demoni, Gesù si ritira a pregare, a cercare e consolidare l'intimità con il Padre. Perché anche Gesù ha costante bisogno di restare radicato nello spazio della propria vulnerabilità per lasciarsi visitare e abitare dalla mano amorevole del Padre. Il Figlio deve restare aggrappato al Padre per essere se stesso. C'è bisogno di custodire l'ambito della mancanza, e alimentare il desiderio che infiamma, affinché la freccia appuntita dello Spirito d'Amore continui a intessere meraviglie nel cuore, nelle mani, negli occhi del Signore.
Può sembrare paradossale, ma anche la diaconia di Gesù sarebbe sterile se non vi fosse una Fonte a cui attingere, in totale obbedienza e in costante discernimento. Impara dalla suocera, il Signore, ma poi rende viva la legge del servizio riferendosi a Dio. A Lui solo c'è da obbedire, e alla gente da offrire il dono prezioso della grazia ricevuta. Obbedendo al Padre, Gesù, che è Figlio, si fa Servo, e traduce poi lo Spirito dell'unione trinitaria nella cura premurosa per gli altri. Per tutti, non solo per la suocera, che gli preparerà un gustoso banchetto. Ma soprattutto per coloro che, fra i villaggi della Galilea, ancora vagano senza aver scoperto quanto sia per essi vitale lasciarsi amare e servire dal Signore che salva.