Omelia (07-02-2021)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di don Eduard Patrascu

„Gesù guarì molti che erano affetti da varie malattie"

La parola di Dio che questa quinta domenica del tempo ordinario ci consegna, a differenza di altre domeniche, non è per nulla facile da interpretare e, di conseguenza, tanto meno da mettere in pratica. Non è facile come non è facile mai parlare della sofferenza, della malattia: lo stiamo vedendo abbondantemente ormai da quasi un anno, tante situazioni sospese, tante vite esposte al rischio di contaminarsi e così poche soluzioni! Si deve riconoscere che la riflessione, alla luce della fede, della proposta del Vangelo non di rado fa fatica a svilupparsi, oppure a continuare dal punto di vista logico fino alla fine.
L'esempio di Giobbe della prima lettura magari si può capire molto meglio in questo periodo: anche lui sta riflettendo sulla condizione dell'esistenza umana. Anche a lui pare che tutto vada storto, che non si c'è nulla di positivo all'orizzonte della vita. La lettura dell'intero libro di Giobbe, ammettiamo molto ardua, può creare un'ambiente di riflessione molto vicino a tante persone che in questo periodo stanno cercando un senso a tutto ciò che succede nel mondo. Inoltre, la solitudine di Giobbe, abbandonato da tutti, compresi gli amici - questi ultimi trasformatisi in giudici più che amici - può avvicinarsi a tantissime situazioni di solitudine fisica e morale che si può provare davanti all'incertezza, oppure al tentennamento delle soluzioni umane che, pur se assolutamente da cercare, identificare e da adottare, si lasciano tanto attendere.
Probabilmente, anche se non alla stessa intensità, i contemporanei di Gesù erano provati dallo stesso sentimento di impotenza davanti alle tante malattie del corpo e dello spirito. La predicazione di Gesù, prima nella sinagoga (secondo il vangelo di Marco) provoca nella gente molta ammirazione, abbiamo sentito e meditato la domenica scorsa. Oggi vediamo Gesù uscire dalla sinagoga (dove aveva già operato un "atto di potenza" scacciando un demonio) e andando verso la casa di Pietro. Arrivato là a Gesù viene riferito il fatto che la suocera di Pietro era ammalata di febbre. Non sono servite tante parole a Gesù. Avendo sentito la cosa subito la prende per mano e la guarisce. Senza tante parole, semplicemente prendendola per mano. Mi viene in mente l'affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina: Dio Padre che stende la mano verso Adamo dandogli vita, donandogli La vita.
A parte questo, trovo molto suggestivo e gravido di tante conseguenze per la nostra fede, ricordare che Gesù, come ce lo presenta Marco, immediatamente dopo predicazione del Vangelo compie due opere molto significative: la prima è rivolta contro il demonio e poi la guarigione della suocera di Pietro dalla febbre. Mi pare che possiamo vedere in quest'ultimo, almeno tenendo conto del periodo che attraversiamo, qualcosa che potrebbe ricordarci un dato essenziale della fede che diciamo di avere in Gesù e, quindi, in Dio.
Se ricordiamo poi i tanti miracoli di guarigione (Marco non usa mai il termine "miracolo"; lui usa un termine che in greco significa "potenza, o atto di potenza"), potrebbe farci molto bene ricordare che a Dio Padre interessano le nostre malattie fisiche: l'attività di Gesù, ripeto, lo dimostra abbondantemente. D'altronde, il versetto che introduce e magari sintetizza il vangelo di oggi lo dice esplicitamente: "Cristo ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie".
Allora, anche se i testi di questa domenica possono sembrare un po' difficili, potremmo ricordarci con più intensità di una verità che tanto facilmente tralasciamo, soprattutto in questi tempi moderni, dove la scienza (che deve fare assolutamente la sua parte!) sembra sia diventata un'istanza dalle caratteristiche quasi divine, spingendo verso il margine del pensiero e della riflessione di fede la verità che la vita appartiene solo a Dio, e Dio può guarire le malattie del corpo anche direttamente (a Gesù è bastato un semplice gesto: prendere per mano) oppure indirettamente, vale a dire attraverso la scienza medica. Ora, se quest'ultima viene meno messa in discussione o, meglio, da questa si attende - a buon ragione - soluzioni, non bisogna mai dimenticare della prima verità. Anche perché la scienza rimane sempre un dono di Dio, dono che viene accolto e attuato dalle persone umane, queste ultime non essendo prive di imperfezioni e, quindi, della permanente necessità di miglioramento.
Se questi tempi mostrano una fiducia crescente nelle tecniche mediche, sarebbe opportuno accompagnare tutti gli sforzi con una maggiore fiducia in Dio, manifestata questa attraverso la preghiera di supplica che dovremmo con più concretezza rivolgere a Dio, autore e salvatore della vita, guaritore delle nostre infermità - febbre o altre malattie che fossero - cosi come vediamo che ci dice il vangelo di oggi: "Gesù guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni". Se la scienza medica sta proponendo diverse soluzioni, noi come Chiesa, daremmo loro un grosso sostegno moltiplicando anche noi le iniziative di preghiera, affinché il Signore ci liberi presto da questa situazione di malattia mondiale. Forse non stiamo facendo - come Chiesa, comunità di fede - troppo poco in questo senso? Le altre situazioni di gravi situazioni mediche, che la storia ricorda, hanno visto la Chiesa in prima linea proponendo giornate di preghiera o di digiuno, oppure tempi prolungati di adorazione eucaristica come supplica rivolta a Dio per guarire l'umanità.
Sicuramente, l'umanità dovrà fare i conti sempre con le malattie: il grido di Giobbe sarà purtroppo sempre presente. Ma non sarebbe opportuno seguire l'esperienza di Giobbe fino alla fine? Cioè, il grido di Giobbe che diventa preghiera straziante verso Dio, alcune volte con caratteristiche molto coraggiose, quasi imprecative. Non dimentichiamo che Dio, nel libro di Giobbe, risponde solo a Giobbe (non agli amici, grandi conoscitori della morale), e gli fa fare un'esperienza profonda di fede proprio attraverso il crogiolo della sofferenza. Giobbe arriverà ad esprimere tutto il suo stupore davanti al Dio che lo guarisce dalla malattia fisica (e, a parte la metafora, Giobbe non sembra sia stato affetto da una semplice febbre!), ma Dio porta Giobbe ad un livello di fede molto più ancorata nella vita.
Il vangelo riporta un simile atteggiamento sia dei 4 discepoli che "parlano a Gesù della malattia della suocera di Pietro", sia della folla che cerca Gesù per essere guarita dalle sue malattie. Gesù risponde loro guarendo i malati e poi si ritira a pregare.
Lasciamoci toccare dall'esempio dei personaggi di questo vangelo! Rivolgiamo anche a Gesù il nostro grido, il gemito straziante del nostro cuore: Signore, abbi pietà di noi. Salvaci da questa malattia che tanto nuoce all'umanità. Facci sperimentare la tua presenza guaritrice. Non per i nostri meriti, ma per la tua infinita misericordia, per il tuo immenso amore!