Omelia (07-02-2021) |
don Alberto Brignoli |
Tutti e subito! La Liturgia della Parola di questa domenica, incastonata come una pietra preziosa all'interno di questa settimana nella quale celebriamo - oggi - la Giornata Nazionale della Vita, e giovedì la Giornata Mondiale del Malato, mi offre lo spunto per riflettere sul tema della salute e della malattia, e più in generale della qualità della vita, tanto più in un contesto come quello attuale, dove la situazione legata alla pandemia continua a occupare le prime pagine dei giornali e dei media, stravolgendo realmente la vita di molte persone, a ogni livello della scala sociale, dal piccolo ristoratore fin dentro ai palazzi del potere. La Parola oggi ci illumina perché ci presenta due giornate di Gesù quasi totalmente dedicate ai malati, anzi - per essere più precisi - a "tutti i malati", nel corpo e anche nello spirito, se è vero che tra coloro che al tempo venivano genericamente e inconsapevolmente considerati "indemoniati", posseduti da spiriti impuri, da un punto di vista scientifico si è finalmente giunti a capire che molti disagi a lungo tempo bollati come tali, in realtà si sono rivelate malattie dell'animo e della psiche oggi facilmente curabili e finalmente oggetto di attenzione da parte della società. E proprio questa "attenzione", questa "cura" nei confronti di tutti coloro che soffrono nel corpo e quindi nello spirito, è ciò che viene messo al centro dell'attività taumaturgica, "curativa" di Gesù. Ci sono almeno due termini che ricorrono più volte nel Vangelo di oggi, in diverse accezioni: il termine "tutti" e il termine "subito". "Tutto e subito" sono spesso l'espressione di una certa sindrome dell'impazienza e della pretesa che pervade la vita di molte persone, e a volte di quella di tutti noi, che vorremmo risolvere tante situazioni in maniera immediata e totale, senza tener conto della lentezza di molti processi che necessitano attenzione, studio, riflessione, per evitare di incorrere in errori a volte irreparabili. Certo, la situazione emergenziale nella quale ci troviamo ci può portare a provare, in maniera inevitabile, questo desiderio, che poi diventa una necessità: ma quanto esprime la Parola di Dio oggi non riguarda solo quello. Riguarda innanzitutto l'universalità della condizione di precarietà nella quale ci troviamo, e non tanto a motivo di una pandemia globalizzata, quanto per via del fatto che "tutti", ma veramente "tutti", nella vita, abbiamo a che fare, chi più chi meno, chi prima chi dopo, chi in maniera lieve chi in modo più grave, con il problema della malattia. Abbiamo senza dubbio un corpo umano che è talmente perfetto da rivelarci veramente di essere stati creati a immagine di Dio; eppure, la nostra salute è tanto precaria che non possiamo non ammettere di esserne solamente l'immagine. Il drammatico frammento che abbiamo letto nella prima lettura, tratto da quella meravigliosa e sofferta opera che è il libro di Giobbe, capolavoro della riflessione universale sul dolore, ci fa comprendere quanto la sofferenza sia, per la donna e l'uomo di ogni tempo e di ogni luogo, il pane quotidiano: "Se mi corico dico: Quando mi alzerò? La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all'alba. I miei giorni scorrono più veloci d'una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene". Certo, sappiamo bene che queste affermazioni del saggio e paziente Giobbe sono frutto di un'esasperata situazione di sofferenza e di prova a cui Dio (inspiegabilmente d'accordo con satana!) l'aveva sottoposto: ma sfido chiunque a sostenere di non aver mai detto, almeno una volta nella propria vita, frasi simili a queste. E in quest'ultimo anno, credo che espressioni come l'ultima di questo brano, "il mio occhio non rivedrà più il bene", abbiano spesso prevalso sul famoso slogan del primo lockdown "Andrà tutto bene"! Eppure, anche il libro di Giobbe termina con un inno alla speranza; eppure, anche la suocera di Simone fu guarita, presa per mano e alzata (quasi una resurrezione) tornando così a mettersi a servizio degli altri; eppure, anche il Vangelo di Marco ci dice con tanto sano realismo che - se non tutti - "molti che erano affetti da varie malattie" furono guariti da Gesù; di certo, tutti lo cercavano, ed egli non si fermava a riscuotere successi e applausi in un solo luogo, dove magari era facile essere osannato, ma si recava altrove, nei villaggi vicini e - dice ancora l'evangelista - addirittura in tutta la Galilea, e oltre, perché "per questo era venuto". Ecco: forse proprio quel "molti ma non tutti" guariti da Gesù, possiamo leggerlo in chiave spirituale e farlo diventare un imperativo categorico per il nostro agire cristiano. Se nemmeno Gesù li ha guariti tutti, e se lungo la storia non tutti i malati sono stati guariti, è perché questo compito non si è esaurito e mai potrà considerarsi tale. Parafrasando una frase di Gesù nell'ultima cena, egli ci rivolge costantemente questo appello: "I malati li avrete sempre con voi". La malattia farà sempre parte della storia dell'umanità, anche di fronte alle continue, costanti e meravigliose scoperte della scienza, frutto di una ricerca - volta a migliorare la qualità della vita - che non può e non deve mai fermarsi, e ha bisogno del sostegno di ognuno di noi. Ed è ingenuo pensare che non nasceranno nuove e preoccupanti forme di anti-vita che metteranno a dura prova, lungo i secoli, il pianeta terra: questo non ci deve spaventare, bensì ci deve stimolare ad assumerci le nostre responsabilità, "tutti" e "subito", come ci dice spesso il Vangelo di oggi. "Tutti" e "subito" devono avere la possibilità di essere curati quando si trovano in una situazione di malattia, e non solo quelli che hanno più soldi degli altri; "tutti" e "subito" devono avere la possibilità di uscire al più presto da questa terribile situazione di pandemia sanitaria attraverso cure adeguate e vaccini accessibili a tutti senza continuare a "spostare in là" gli appuntamenti; "tutti" e "subito" - e non solamente i "soliti ignoti" che hanno conoscenze migliori o la lingua più lunga degli altri - devono essere sostenuti nel loro dramma quotidiano di sapere se potranno portare a casa, a fine mese, uno stipendio onesto e adeguato; "tutti" e "subito" dobbiamo fare la nostra parte, con atteggiamenti seri e responsabili, per evitare che questa pandemia duri per ancora troppo tempo, smettendola, magari, di gettare addosso ogni compito e ogni responsabilità a un personale sanitario che mesi fa definivamo "eroico" e ora addirittura rischia di essere denunciato per non aver fatto abbastanza. Tutti insieme possiamo fare non solo "abbastanza", ma addirittura "molto": se il Figlio di Dio lo ha fatto allora, con il solo aiuto di dodici scalcinati pescatori analfabeti, volete che non riesca a farlo anche ora, che un miliardo e mezzo di persone si definisce "cristiano"? Anche questo è annuncio del Vangelo! E se non è abbastanza quanto ci ha detto Gesù, lasciamoci stimolare dalle parole di Paolo nella seconda lettura di oggi: "Guai a me, se non annuncio il Vangelo!". |