Omelia (07-02-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Impariamo ad apprezzare il dono della vita Il brano evangelico di questa domenica ci offre il resoconto di una giornata-tipo di Gesù. Abbiamo ascoltato che Gesù uscito dalla sinagoga dove aveva insegnato, andò «nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni». In questa casa, scrive Marco, c'era «la suocera di Simone» la quale «era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei». L'evangelista annota che Gesù «si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva». Marco continua la narrazione scrivendo che «venuta la sera, gli portavano tutti i malati» ed egli ne «guarì molti che erano affetti da varie malattie»; ed infine abbiamo ascoltato che Gesù, «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!". E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». Da questo resoconto deduciamo che la giornata di Gesù consisteva in un intreccio tra cura dei malati, preghiera e predicazione del Regno. Ebbene, prendendo spunto dal vangelo dedichiamo la nostra riflessione all'amore di Gesù per i malati e, più in generale, all'esperienza della malattia, anche perché, di solito, in questo periodo dell'anno (precisamente l'11 febbraio, giorno in cui la Vergine Santa è apparsa a Lourdes, nella grotta di Massabielle, a Bernardette), ricorre la Giornata mondiale del malato. Gesù, dunque, si mostra davvero «medico delle anime e dei corpi». La venuta di Cristo ha portato una grande novità. Prima di Cristo, la malattia era considerata come strettamente connessa con il peccato: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (cf Gv 9,2), chiedono a Gesù, a proposito del cieco nato. Ma con Gesù, qualcosa è cambiato a questo riguardo. Alle persone ammalate Gesù non predica rassegnazione, non chiede di offrire la sofferenza a Dio. A queste persone Gesù non teme di avvicinarle e anche di toccarle; anzi, si piega su quei corpi per curarli perché «Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie» (cf Mt 8,17). Sulla croce ha dato un senso nuovo al dolore umano, compresa la malattia: non più punizione, ma redenzione. La malattia - questa terribile situazione in cui prima o poi tutti ci imbattiamo - e, con essa il dolore ci inducono spesso all'assenza di fiducia negli altri e nella vita... Però la malattia unisce a Cristo, santifica, affina l'anima, prepara il giorno in cui Dio asciugherà ogni lacrima e non ci sarà più né pianto, né dolore. Dopo la lunga degenza, seguita all'attentato in Piazza san Pietro, il papa san Giovanni Paolo II scrisse una lettera sul dolore, in cui, tra le altre cose, diceva: «Soffrire significa diventare particolarmente sensibili all'opera delle forze salvifiche di Dio offerte all'umanità in Cristo» (cf Salvifici doloris, 23). Attraverso la malattia molti sono diventati santi. Sant'Ignazio di Loyola si convertì in seguito a una ferita che lo tenne a lungo immobilizzato a letto. Una pausa dovuta a malattia è spesso l'occasione per fermarsi, per fare il punto sulla propria vita, ritrovare se stessi e imparare a distinguere le cose che contano veramente. È lecito, in caso di malattia, pregare per la propria guarigione. A volte, Dio, accorda la guarigione in risposta alla preghiera, se è per il nostro bene eterno. Ma la cosa migliore è conformarsi alla volontà divina, dicendo come Gesù nel Getsemani: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (cf Lc 22,42). In questo modo, i malati non sono più delle membra passive nella chiesa, ma le membra più attive, più preziose. Agli occhi di Dio, un'ora della loro sofferenza, sopportata con pazienza, può valere più di tutte le attività del mondo. Ebbene, non lasciamo le persone ammalate nella loro solitudine. Una delle opere di misericordia è quella di visitare i malati, e Gesù ci ha avvertito che uno dei punti del giudizio finale verterà proprio su questo: «Ero malato e mi avete visitato... Ero malato e non mi avete visitato» (cf Mt 25,36.43). Visitare una persona malata, magari solo per qualche istante, è una cosa importante. Ma siccome spesso non è urgente, la si rimanda a lungo, finendo per decidersi quando forse non serve più. L'apostolo Paolo scrive: «se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla» (cf 1Cor 13,2), mentre san Giacomo aggiunge: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? La fede se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta» (cf Gc 2, 14.17). Ebbene, preghiamo per i nostri fratelli ammalati affinché possano guarire presto e ritornare alle loro attività, all'affetto dei loro cari, e preghiamo anche per coloro che nel corpo non possono più guarire affinché, attraverso le loro sofferenze, impariamo ad essere riconoscenti a Dio e ad apprezzare il dono della vita. |