Omelia (07-02-2021)
padre Antonio Rungi
Cristo guarisce, libera e consola

Mai come in questo difficile tempo che stiamo vivendo a causa della pandemia, capita a proposito questo vangelo di San Marco, in cui vediamo Gesù all'opera nel guarire i tanti ammalati e liberare le persone dalla possessione diabolica.

La parola di Dio di questa quinta domenica del tempo ordinario è tutta incentrata su tema della guarigione, della salute che sta a cuore di ognuno di noi.

Gesù, dopo aver insegnato nella sinagoga di Cafarnao, viene portato nella casa di Pietro e qui trova la suocera del suo apostolo, primo responsabile del gruppo dei dodici, che sta a letto con la febbre.

Ai nostri giorni si sarebbe pensato subito a d una persona affetta da Covid19 perché i sintomi febbrili vengono indicati come possibile manifestazione del coronavirus.

Gesù non si attrezza di mascherine, guanti e non si sanifica le mani. Fa esattamente quello che farebbe ogni persona umana di fronte alla sofferenza e al dolore: si accosta al letto dell'ammalata, la prende per mano, la fa alzare e in quel momento la suocera di Pietro, di cui non conosciamo il nome, è guarita. Il resto lo sappiamo: si mise subito a servire il gruppo di Gesù. Se c'era la suocera, si pensa che c'era anche la moglie di Pietro, forse anche qualche figlio di Pietro. Comunque il quadro familiare è al completo e tutto insieme si mette al servizio di Gesù e della sua piccola comunità itinerante.

Certo oggi noi non possiamo fare le stesse cose che Gesù fece allora, in un contesto diverso di malattia, ma certamente possiamo essere vicini ai malati di coronavirus e di altre malattie, come Gesù ci insegna anche nel testo del Vangelo che abbiamo appena ascoltato.

Infatti, dopo aver guarita la suocera di Pietro Gesù continua la sua opera di guaritore con liberare dalla malattia fisica tante persone che vengono portate a lui in quel giorno di terapia generalizzata che appronta a Cafarnao, alle porte della città dove si forma un assembramento tale di persone e di ammalati, sullo stile di quello che abbiamo visto in questi mesi presso gli ospedali italiani e del resto del mondo per fronteggiare l'epidemia da coronavirus.

Il tutto fatto con amore, gratuitamente, e con la passione del Figlio di Dio venuto a salvare l'umanità non solo dalle malattie fisiche, ma soprattutto da quelle spirituali.

Gesù infatti oltre a guarire nel fisico, guarisce nell'anima e libera quanti erano posseduti dal demonio da questa schiavitù terribile si sottomissione al potere del male.

Possiamo immaginare che a Gesù ricorsero a lui bambini, mamme, papà, giovani, adulti, in poche parole tutti coloro che stavano male ed aveva bisogno del medico del corpo e dell'anima. E Gesù svolge entrambi questi compiti di cura complessiva della persone, perché è consapevole che non c'è benessere fisico, se non è presente quello spirituale. L'uomo che è fatto di anima e corpo necessita di stare bene nell'una e l'altra dimensione della sua esistenza temporale.
Dopo aver espletato il servizio della carità e del guarigione e liberazione Gesù avverte di riposare. Ma al mattino, di buon ora, decide di ritirarsi in preghiera tutto solo, lontano dal clamore e dall'esaltazione che potevano fare di lui quanti erano stati guariti e liberati. Questa necessità di stare da solo viene interrotta da Pietro e dagli altri apostoli che lo cercano, in quanto atre persone necessitavano di essere guariti.

Gesù che non è esclusivista e non privilegiata nessuno, dice agli apostoli che non poteva mettere uno studio medico stabile a Cafarnao per guarire solo la gente di quella città, ma decide di andare altrove, nei villaggi vicini, perché predicasse anche là, per questo infatti era venuto!».


Sulla scia del Maestro, l'apostolo Paolo, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corìnzi, esprime tutto l'orgoglio dell'apostolo missionario che annuncia il Vangelo. Per lui è un vanto, perché è una necessità che mi si impone. Potremmo dire un bisogno primario essenziale, come quello di mangiare, respirare e dormire. Proprio per questo afferma di se stesso" Guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato". Annunciare gratuitamente la parola di Dio che salva. Infatti per chi svolge il ministero della parola la ricompensa sta nello stesso annuncio. Infatti, San Paolo ribadisce che annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo, per lui è tutto, anzi è mezzo e strumento di liberazione e di realizzazione. Egli pur essendo libero da tutti, si è fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero dei fedeli alla causa della salvezza, alla causa di Dio. E per raggiungere questo scopo si è fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; si è fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. L'apostolo ha a cuore la diffusione del vangelo, come via di conoscenza dell'unico vero Dio, rivelato da Cristo.


Questa ansia missionaria ed evangelizzatrice la troviamo anticipata nell'Antico Testamento, nella figura di Giobbe, il profeta della sofferenza, ma anche del realismo dell'esistenza umana e terrena, il quale scrive di se stesso parole di insegnamento e di forte appello a lasciarsi toccare dalla parola di Dio che salva e redime, alla cui luce esamina la sua vita: Egli riconosce che a lui sono toccati mesi d'illusione e notti di affanno, notti interminabili ed insonni, durante le quali egli è stanco di rigirarsi fino all'alba, quando deve alzarsi. La costatazione amara che i suoi giorni scorrono più veloci d'una spola e svaniscono senza un filo di speranza. E poi la conclusione di una meditazione lunga e travagliata che porta a dire a se stesso: un soffio è la mia vita, passa e scorre veloce, senza neppure aver il tempo di fare il bene che uno sperava di poter fare, regolandosi sui propri tempi e non su quelli di Dio. Illusione di tutti gli uomini che pensavo di essere eterni e che c'è sempre tempo per fare il bene. Non è così. Il bene lo si fa sempre, senza aspettare tempi che forse non arriveranno mai più, specialmente quando vediamo i nostri fratelli in necessità e bisognosi del nostro sguardo d'amore e di attenzione. Sia questa la nostra umile preghiera a conclusione della nostra riflessione: "O Padre, che con amorevole cura ti accosti all'umanità sofferente e la unisci alla Pasqua del tuo Figlio, insegnaci a condividere con i fratelli il mistero del dolore, per essere con loro partecipi della speranza del Vangelo". Amen.