Omelia (14-02-2021) |
don Michele Cerutti |
Sant'Agostino di Ippona invitava i suoi fedeli a vigilare con attenzione perché il Signore mentre passa non sia lasciato sfuggire. "Temo il Signore che passa" era l'esortazione e Agostino ne sapeva qualcosa. Lui è stato un giovane dissoluto alla ricerca della verità aveva abbracciato le filosofie del tempo che non erano in grado di soddisfarlo e lo conducevano a vivere lontano da Dio. Dio è passato molte volte vicino nella sua vita e lui non è riuscito a percepirne la presenza. Una volta convertito e divenuto Vescovo ha potuto esortare i suoi con espressioni così forti. Un lebbroso nel Vangelo ci insegna che il passaggio di Dio non può essere assolutamente fatto sfuggire. Risuonano le parole di Gesù che appaiono nel Vangelo di Matteo: Beato sei tu o Padre Signore del cielo e della terra perché ai piccoli hai rivelato il Regno dei cieli e non ai dotti e ai sapienti. Un lebbroso, un allontanato dal mondo perché impuro sorprende tutti e si rivolge a Gesù con parole che rinnovano la compassione del Figlio di Dio: "Se tu vuoi puoi guarirmi", In questi primi versetti del Vangelo comprendiamo che il miracolo è grazia di Dio che agisce in un cuore aperto. La scintilla della fede e unita con il fuoco della grazia portano a ciò che può sembrare impossibile. Nulla è impossibile a Dio è l'espressione dell'angelo Gabriele a Maria. Nulla è impossibile a Dio viene dimostrato in questo miracolo. Gesù non è venuto ad eliminare neanche uno iota della Legge e invita quel tale guarito a rispettare le prescrizioni del Levitico: va a presentarti al sacerdote perché possa accertare la guarigione. In tal modo il lebbroso veniva reinserito nel contesto sociale del Tempo e non poteva più vivere ai margini. Unito all'invito ad andare dal sacerdote c'è la richiesta forte di non dire niente a nessuno. E' troppo forte la gioia che questo impegno nessuno dei miracolati riesce a vivere. Da un lato Gesù vuole evitare la spettacolarizzazione dei miracoli. La fede non è magia è qualcosa di particolarmente profonda. Dall'altro lato la gioia dell'incontro con Gesù spinge tutti coloro che ne sono stati toccati a non trattenerla per sé e non si riesce a tenere fede all'impegno preso. La fede non è realtà intimistica spinge tutti coloro che l'abbracciano ad annunciarla. Un lebbroso lontano dal contesto sociale ora diventa calamita che spinge altri ad andare a Gesù e la gioia diventa contagiosa. Il Signore non vuole il successo del mondo. Egli è venuto per servire non per farsi servire e non per farsi acclamare Re in quanto la sua regalità è nel servizio. Gesù si ritira nel deserto non vuole applausi, ma vuole crescere nell'intimità con il Padre e lì sa che questo è possibile. La pagina evangelica parla nell'oggi offrendoci delle interessanti riflessioni. Prima di tutto la gioia della fede porta all'annuncio. Se non viviamo nella dimensione gioiosa di chi ha incontrato il Signore nella propria vita è molto difficile parlare di fede. Dobbiamo bandire quelle forme per cui: "Io e la mia messa", "il mio Dio" che tengo gelosamente per me e non dono a nessuno sono espressioni che non parlano di fede e che inevitabilmente non porta ad evangelizzazione. Il nostro rapporto con le azioni che compiamo vanno alla ricerca della gloria di Dio oppure sono indirizzati alla gloria umana? Siamo consapevoli che la gloria di Dio è l'uomo vivente? Domande che ci dobbiamo porre per fare in maniera tale che la nostra azione sia autentica. |