Omelia (17-02-2021) |
don Lucio D'Abbraccio |
Convertiamoci e ritorniamo a Dio! Un rito simbolico, gesto proprio ed esclusivo del primo giorno della Quaresima, è l'imposizione delle Ceneri. Dopo l'omelia il sacerdote benedice le ceneri e le impone sul nostro capo dicendo: «Convertitevi, e credete al Vangelo» oppure «Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai» Ma qual è il suo significato? Esso ci fa comprendere l'attualità dell'ammonimento del profeta Gioele, riecheggiato nella prima Lettura, ammonimento che conserva anche per noi la sua salutare validità: ai gesti esteriori deve sempre corrispondere la sincerità dell'animo e la coerenza delle opere. A che serve infatti - si domanda l'autore ispirato - lacerarsi le vesti, se il cuore rimane lontano dal Signore, cioè dal bene e dalla giustizia? Ecco ciò che conta veramente: ritornare a Dio, con animo sinceramente pentito, per ottenere la sua misericordia (I Lettura). Questo tempo forte dell'anno liturgico è, dunque, «il tempo favorevole», l'occasione propizia per rinnovare il cammino della conversione, del ritorno a Dio: si tratta di rifiutare gli idoli seducenti che, nonostante la vita di fede, allontanano i credenti da Dio, li inducono a dimenticare il Vangelo, a contraddire la volontà di Dio. Nel Salmo responsoriale più volte abbiamo ripetuto il ritornello: «Perdonaci, Signore: abbiamo peccato». Sì. Abbiamo peccato! E come peccatori dobbiamo chiedere perdono a Dio. Il vero credente, infatti, consapevole di essere peccatore, aspira con tutto se stesso - spirito, anima e corpo - al perdono divino, come a una nuova creazione, in grado di restituirgli gioia e speranza (cf Sal 50, 3.5.12.14). Un altro aspetto della spiritualità quaresimale è quello che potremmo definire «agonistico», ed emerge nell'odierna orazione «colletta», là dove si parla di «armi» della penitenza e di «combattimento» contro lo spirito del male: «O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male». Ogni giorno, ma particolarmente in Quaresima, il cristiano deve affrontare una lotta, come quella che Cristo ha sostenuto nel deserto di Giuda, dove per quaranta giorni fu tentato dal diavolo, e poi nel Getsemani, quando respinse l'estrema tentazione accettando fino in fondo la volontà del Padre. Si tratta di una battaglia spirituale, che è diretta contro il peccato e, ultimamente, contro satana. È una lotta che investe l'intera persona e richiede un'attenta e costante vigilanza. Osserva sant'Agostino che chi vuole camminare nell'amore di Dio e nella sua misericordia non può accontentarsi di liberarsi dai peccati gravi e mortali, ma «opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi... e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte». La Quaresima ci ricorda, pertanto, che l'esistenza cristiana è un combattimento senza sosta, nel quale vanno utilizzate le «armi» della preghiera, del digiuno e della penitenza. Lottare contro il male, contro ogni forma di egoismo e di odio, e morire a se stessi per vivere in Dio è l'itinerario ascetico che ogni discepolo di Gesù è chiamato a percorrere con umiltà e pazienza, con generosità e perseveranza. La docile sequela del divino Maestro rende i cristiani testimoni e apostoli di pace. Potremmo dire che questo interiore atteggiamento ci aiuta a meglio evidenziare anche quale debba essere la risposta cristiana alla violenza che minaccia la pace nel mondo. Non certo la vendetta, non l'odio e nemmeno la fuga in un falso spiritualismo. La risposta di chi segue Cristo è piuttosto quella di percorrere la strada scelta da Colui che, davanti ai mali del suo tempo e di tutti i tempi, ha abbracciato decisamente la Croce, seguendo il sentiero più lungo ma efficace dell'amore. Sulle sue orme e uniti a Lui, dobbiamo tutti impegnarci nell'opporci al male con il bene, alla menzogna con la verità, all'odio con l'amore. L'amore, come ribadisce Gesù quest'oggi nel Vangelo, deve poi tradursi in gesti concreti verso il prossimo, specialmente verso i poveri e i bisognosi. In questa pericope evangelica, infatti, notiamo che vi è una lotta all'ipocrisia, all'ostentazione, alla ritualità esteriore, soddisfatta e compiaciuta dei suoi atti ma senza incidenza nell'interiorità, nell'impegno esistenziale e sociale. Gesù affida solo a Dio ogni giudizio e ogni ricompensa. Non preoccupiamoci, allora, del giudizio degli uomini, ma del giudizio del «Padre che è nei cieli», che «vede nel segreto» e che «ricompenserà» quanti fanno il bene in modo umile e disinteressato. La concretezza dell'amore vero si traduce in gesti che non escludono nessuno, sull'esempio del buon Samaritano che, con grande apertura d'animo, aiutò uno sconosciuto in difficoltà, incontrato «per caso» lungo la strada (cf Lc 10,31). Ebbene, entriamo nel clima tipico di questo periodo liturgico con questi sentimenti, lasciando che la parola di Dio ci illumini e ci guidi. Facciamo tesoro degli insegnamenti che abbondantemente in queste settimane ci offrirà la Chiesa. Animati da un forte impegno di preghiera, decisi a uno sforzo più grande di penitenza, di digiuno e di attenzione d'amore ai fratelli, incamminiamoci verso la Pasqua, accompagnati dalla Vergine Maria, Madre della Chiesa e modello di ogni autentico discepolo di Cristo. Amen. |