Omelia (21-02-2021) |
don Alberto Brignoli |
Una nuova Alleanza Il cammino domenicale di Quaresima si apre come ogni anno con la narrazione delle tentazioni di Gesù, il cui sostare per quaranta giorni nel deserto diviene "icona" del cammino penitenziale della Quaresima, fatto appunto di quaranta giorni. Se il racconto di questo episodio è tradizionalmente legato a questa domenica - nota appunto come "Domenica delle Tentazioni" - non è altrettanto tradizionale e scontato l'approccio che ognuno dei tre evangelisti sinottici azzarda riguardo a ciò che possa essere accaduto in quei quaranta giorni, rispetto ai quali pare proprio che non abbiamo alcun testimone. La narrazione di Matteo e Luca è ben diversa da quella di Marco; mentre delle prime due ricordiamo molto bene il triplice attacco di satana al Figlio di Dio su temi come il cibo, i miracoli e la divinità, quella di Marco che ci viene proposta in quest'anno liturgico risalta per la sua brevità e la sua essenzialità, che ne fanno davvero un brano "quaresimale" anche da un punto di vista narrativo. Ma una narrazione scarna ed essenziale non significa priva di significato, di senso: anzi, forse è proprio la concisione con cui Marco si esprime a stimolare ulteriormente il nostro interesse, il nostro desiderio di andare a fondo nel comprendere quello che rimane un momento fondamentale della missione di Gesù e, di conseguenza, del nostro cammino di preparazione alla Pasqua. Talmente fondamentale che non si riferisce esclusivamente a un episodio spazio-temporale, definito nel luogo e nel tempo, della missione di Gesù, ma a tutta quanta la sua vita. Se, infatti, Matteo e Luca ci descrivono Gesù nel deserto intento a digiunare e a "nutrirsi non di solo pane", quindi intento nel dialogo con Dio Padre attraverso la preghiera, Marco ci dice solamente che "lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana". Non, quindi, un momento episodico della vita di Gesù, nel quale si descrive un combattimento contro le forze del male da cui esce vittorioso, ma qualcosa di continuativo, di costante, di sempre presente nella vita di Gesù, concettualizzato e descritto dalla simbologia del numero quaranta, il numero che indicava i quarant'anni del cammino nel deserto ma anche i quarant'anni della durata media di una generazione, secondo la concezione ebraica del tempo: un cammino, quindi, come quello dell'Esodo nel deserto, che dura tutta una vita, e che lungo tutto la durata di una vita sarà soggetto alla tentazione, all'attacco da parte delle forze del male. È significativo che, in proporzione alla sua brevità, il vangelo di Marco è, dei tre, quello che più volte racconta di guarigioni di indemoniati o di attacchi da parte del demonio a Gesù, a volte anche attraverso i suoi stessi discepoli, come nel caso di Pietro. E sempre, la tentazione o il tentativo di satana nei confronti di Gesù è volto a uno scopo ben preciso: separarlo da Dio, separarlo dal Padre, separarlo da quel rapporto che egli ha intavolato con Dio in una maniera tutta speciale, ossia una figliolanza che diviene addirittura uguaglianza con Dio. Ciò che crea unità non rientra nello schema mentale di satana; ciò che unisce non fa parte della sua forma mentis; ciò che tiene uniti gli uomini tra di loro e con Dio è oggetto di maggior attacco da parte del tentatore. E questi tentativi di disunione, di disgregazione, di divisione, di separazione rappresentano, per Gesù, un elemento da combattere senza riserve lungo tutti i suoi "quaranta giorni nel deserto", simbolo, come già ricordato, di tutto il cammino di una vita. Colpisce, ad esempio, che tra i principali avversari della predicazione di Gesù, ci fossero i farisei (citati quasi cento volte nei Vangeli, e mai presenti nell'Antico Testamento), termine che significa proprio "i separati", i "divisi", quelli che si distinguono dagli altri perché si ritengono migliori. Ma la divisione non è segno di forza, né di ricchezza umana, né di intensità nella vita di fede: dove c'è divisione c'è discordia, debolezza, mancanza di fiducia negli uomini e in Dio. Ciò che ha sempre salvato il popolo d'Israele nella sua travagliata storia è l'unità tra i suoi membri, basata esclusivamente su un concetto: l'Alleanza con il suo Dio. Un'Alleanza che trova la sua pienezza nella vicenda dell'Esodo e nel dono della Legge sul Sinai, ma che parte da lontano, dal momento in cui gli uomini, decisi a fare a meno di Dio, furono da lui eliminati dalla faccia della terra con il diluvio, salvo poi incontrare di nuovo la misericordia di Dio, pronto a ripartire da capo grazie a un uomo fedele all'alleanza con lui. Noè è il simbolo dell'uomo che rimane unito a Dio nonostante le tempeste e le vicende dolorose della vita, e per questo ottiene da Dio di potere nuovamente e costantemente sancire un'alleanza con lui: e il ricordo di questa sua alleanza con Dio, di questa unione a lui anche dopo le tempeste della vita sarà segnato dalla presenza di quell'arco teso tra cielo e terra che tornerà a colorare il cielo grigio dopo la pioggia; e quanto più sarà stata violenta, tanto più sarà visibile in cielo. L'arcobaleno che si distende in cielo dopo le tempeste, al risplendere dei primi raggi del sole, ci ricorda che anche le vicende dolorose della vita hanno una fine, e che il sole può tornare a risplendere, nella misura in cui l'umanità rimane aggrappata all'alleanza con il suo Dio e non si lascia dividere da alcuna tentazione di autonomia e di autodeterminazione. La storia non si ferma, neppure dopo il diluvio universale; la vita non si ferma, neppure dopo la peggiore delle disgrazie; la Parola di Dio non smette di essere annunciata nemmeno dopo che Giovanni Battista viene arrestato; l'alleanza tra Dio e il suo popolo non viene meno, anzi, la Quaresima ci prepara proprio a celebrare "la nuova ed eterna alleanza", aspersa non più con la pioggia del diluvio, ma con il sangue di Gesù sulla Croce. |