Omelia (21-02-2021)
don Lucio D'Abbraccio
Quaresima: tempo di conversione e silenzio

Nel vangelo abbiamo ascoltato che si parla delle tentazioni di Gesù, dei quaranta giorni vissuti nel deserto digiunando, pregando, meditando, lottando, prima che iniziasse la vita pubblica. Tutto questo in profonda solitudine e silenzio. L'evangelista Marco non presenta in dettaglio le tentazioni di Gesù, come fanno Matteo (4,1-11) e Luca (4,1-13). Gesù non viene nemmeno presentato come un «superuomo». Il sottoporsi alla tentazione da parte di Gesù, infatti, sottolinea anche la sua umanità. Tanto è vero che l'apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi scrive: «Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (cf Fil 2,6-7).

Gesù lascia il deserto quando Giovanni Battista viene imprigionato e inizia a proclamare nella Galilea la venuta del regno di Dio e la conversione. Tutti siamo chiamati alla conversione! Le letture che oggi la liturgia ci ha fatto proclamare, invitano alla conversione, ad approfittare di questo tempo quaresimale per riscoprire una vita cristiana più convinta e piena. Gli Ebrei al tempo di Gesù, probabilmente, hanno colto con stupore e sorpresa l'invito di Gesù alla conversione. Secondo le loro convinzioni secolari, erano i pagani che avrebbero dovuto convertirsi, non la stirpe eletta, il popolo dell'alleanza. Soprattutto i capi religiosi hanno colto tutta la rottura che veniva a rappresentare l'invito di Gesù. Eppure loro più di altri avevano bisogno di cambiare il cuore. E invece faranno fatica a farsi piccoli per il regno, a entrare seriamente in un atteggiamento di disponibilità. Gesù stesso ha trovato meno difficoltà a «convertire» i peccatori pubblici e incalliti, che a indirizzare i «giusti» del suo tempo verso una mentalità più evangelica. Anche noi cristiani, purtroppo, ci riteniamo migliori degli altri solo perché partecipiamo alla messa, preghiamo e facciamo ogni giorno le nostre pie devozioni. Questo ritenersi giusti, ahimè, quante volte ha autorizzato ciascuno di noi a condannare, criticare, puntare il dito e guardare la pagliuzza che è nell'occhio del fratello e non la trave che è nel nostro. Quanta ipocrisia!

La parola «Quaresima» a molti richiama momenti di penitenza e di riti speciali. In realtà si tratta soprattutto di cambiare l'orientamento di fondo della nostra vita, di modificare il nostro modo di riflettere sulle cose. È ciò che esprime la parola metànoia, termine greco che significa «conversione, cambiare la mente», cambiare il cuore e il proprio punto di vista. Oppure la parola ebraica shûb, un verbo molto usato nella Bibbia, che significa «volgersi, tornare, ritornare», tipico di chi ha sbagliato strada, e deve fare un'inversione a «u» per ritrovare il proprio sentiero.

La Quaresima, dunque, è l'occasione che la Chiesa offre a tutti per ritrovare il proprio sentiero, per fare un tempo di deserto nell'ambiente stesso in cui viviamo, senza bisogno di ritirarsi in un eremo. Dalle Scritture sappiamo che Gesù spesso cercava la solitudine perché aveva bisogno di parlare col Padre in silenzio. Oggi viviamo in un mondo pieno di chiasso, confusione... in un mondo dove tutti vogliono parlare e nessuno vuole ascoltare... siamo storditi da tutto quello che ascoltiamo dalla televisione e che leggiamo sui social. Cerchiamo di creare momenti di silenzio nelle case, dentro di noi. Come? La tradizione cristiana ci offre la risposta con una parola: digiuno. Una volta con questa parola si intendeva solo il limitarsi nei cibi e l'astenersi dalle carni. Questo digiuno alimentare conserva tuttora la sua validità ed è altamente raccomandato, quando è fatto con spirito di sacrificio, per mortificare la gola e non unicamente per mantenere la linea. Tuttavia, questo non è oggi il digiuno più necessario. Nessun cibo, diceva Gesù, è, per sé, impuro, e non è quello che entra nello stomaco che inquina l'uomo. Più necessario del digiuno dai cibi è il digiuno dai rumori e soprattutto dalle immagini. Quante immagini lasciamo entrare dentro di noi! Molte di esse sono violente, malsane, confezionate espressamente per sedurre. A tal proposito una volta una persona obiettò a padre (cardinale) Cantalamessa: «Ma non è Dio che ha creato l'occhio per guardare tutto ciò che di bello c'è nel mondo?». «Sì, rispose il padre, ma lo stesso Dio che ha creato l'occhio per guardare, ha anche creato la palpebra per coprirlo!».

Un altro digiuno che possiamo fare durante la Quaresima, ma non solo durante questo tempo, ma sempre, è quello delle parole cattive. San Paolo raccomanda: «Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un'opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano» (cf Ef 4,29).

Parole cattive non sono solo le parolacce; sono anche le parole taglienti, negative, parole di critica, di sarcasmo. Nella vita di una famiglia o di una comunità, queste parole hanno il potere di far chiudere in se stesso, di raggelare, creando amarezza e risentimento. San Giacomo diceva che la lingua è piena di veleno mortale, con essa possiamo benedire Dio o maledirlo, uccidere o esaltare un fratello. Una parola può fare più male di un pugno!

Facciamo nostre le parole dette, all'inizio della Quaresima, da sant'Anselmo d'Aosta: «Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po' i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell'intimo della tua anima, escludi tutto, tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo e richiusa la porta, di' a Dio: Cerco il tuo volto. Il tuo volto io cerco, Signore».

Che lo Spirito che «sospinse Gesù nel deserto», vi conduca anche noi, ci assista nella lotta contro il male e ci prepari a celebrare la santa Pasqua rinnovati nello spirito!