Omelia (11-02-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Marco 7,1-13

Questi primi versetti del capitolo 7 di Marco possono sembrare a noi del 2003 questioni ridicole e controversie definitivamente superate da un pezzo: e in parte è vero, per fortuna! Dobbiamo però cogliere almeno due affermazioni importanti e valide in tutti i tempi e sotto tutti i cieli:

1. Comandamenti di Dio e tradizioni degli uomini devono essere tenuti sempre distinti: i comandamenti di Dio hanno valore perenne e universale e quindi sono immutabili; le tradizioni degli uomini sono provvisorie e quindi possono, e spesso devono, essere cambiate. Di conseguenza il cristiano, e più in generale l'uomo onesto e intelligente, si rinnova in continuità ed è disponibile alle riforme e al progresso.

2. Gesù rifiuta la distinzione giudaica tra puro e impuro, tra una sfera religiosa separata, in cui Dio è presente, e una sfera ordinaria, quotidiana, in cui Dio è assente. Non ci si purifica dalla vita quotidiana cercando Dio altrove, fuori dalla vita di tutti i giorni, ma al contrario ci si deve purificare dal peccato che è dentro di noi. Gesù contesta la distinzione allora ritenuta sicura e indiscutibile: l'ebreo è puro e tutti gli altri sono impuri.

La questione del puro e dell'impuro ha avuto una grande importanza nei primi tempi della Chiesa, soprattutto per la partecipazione alla stessa mensa tra giudei e pagani (cfr Gal 2,11-17). Ci ritorna alla mente la voce che Pietro sentì nella visione di Ioppe: "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano" (At 10,15).

Citando il quarto comandamento Gesù dimostra di accettare la forza vincolante della legge di Dio, ma rifiuta le tradizioni asfissianti e cavillose che contraddicono ai comandamenti del Signore più che aiutare a capirli e ad osservarli meglio.

Gesù sceglie un caso particolarmente grossolano per dimostrare che il precetto umano può condurre alla trasgressione del comandamento divino. Il dovere di onorare il padre e la madre e di assistere i genitori vecchi e bisognosi era stato affermato da un comandamento di Dio. Ma anche mantenere un voto costituiva un dovere sacro. L'abuso di danneggiare i genitori col voto del corbàn era frequente al tempo di Gesù.

Gesù pone il comandamento dell'amore al di sopra dell'olocausto e degli altri sacrifici (cfr 12,33) e non permette di trascurare il dovere verso i genitori nemmeno con la scusa di un voto. Dio non vuole essere amato e onorato a spese dell'amore del prossimo. Dio è amore e vuole solo amore, quell'amore del prossimo per mezzo del quale egli stesso viene amato.

E' il principio fondamentale posto alla base di tutta la nostra condotta: l'amore di Dio e del prossimo si inseriscono l'uno nell'altro indissolubilmente (cfr 12,30-31).

Leggiamo nella Prima Lettera di Giovanni: "Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il fratello" (4,21). Nell'amore viene superata ogni forma di legalismo.

Ciò che talvolta tiene lontano da Dio e dal prossimo le persone buone sono le tradizioni religiose staccate dall'amore, che è la loro sorgente e la loro unica motivazione.