Omelia (28-02-2021) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La lotta per la corona di gloria Non sono mai stato bravissimo in matematica e fisica, ma tutte le volte che ho visto decollare un aereo ho sempre dedotto che questo avviene sempre con il vento contrario e non a favore. Così avviene con tutti i nostri obiettivi e con i nostri buoni propositi: il percorso che si intraprende per raggiungerli non ha mai un esordio felice. Come pure nessuna carriera, per quanto conquistata dopo lunghe lotte, ha degli inizi piacevoli e gratificanti e chiunque esordisca in un mestiere o in una posizione raggiunta affronta agli inizi il vento contrario. Quando iniziai il mio ministero sacerdotale ero abbastanza entusiasta e convinto di poter tradurre nella prassi tutto ciò che avevo appreso all'università, ma seguitando nel cammino dovetti fare i conti con la realtà, poiché mi si presentava di volta in volta la discrepanza fra i dire e il fare. La differenza fra l'ideale e la vita pastorale concreta. Difficoltà, prove e sacrifici sono all'ordine del giorno però in qualsiasi tappa del percorso e nessuna opera nobile è mai esente da rischi. L'amore comporta sacrificio e non di rado anche eroismo inimmaginabile, ed è quello che Dio vuole illustrarci nell'episodio di Abramo che forzatamente è costretto a sacrificare il suo unico figlio, avuto peraltro in età molto avanzata per uno speciale beneficio (Gen 18, 1 - 15). Un sacrificio inaudito, dunque. Se lo avesse portato a termine Abramo non avrebbe perso solamente la cosa più preziosa che aveva, il suo unico Figlio maschio, ma anche la possibilità di avere una discendenza; il che poteva considerarsi una maledizione. Certamente non avrà avuto l'animo sereno il patriarca simbolo della fede a recare con sé il proprio figlio sul luogo del supplizio. Avrà esitato, tentennato e si sarà anche disperato. Il Signore però non consente che una vittima innocente paghi al posto di un ariete e, proprio mentre Abramo, messa mano al coltello, sta per colpire la carne esile del fanciullo, manda un angelo a distoglierlo da tale proposito. Il sacrificio della vittima animale si farà, ma Dio provvede anche a quella e non solamente dispensa Abramo da un terribile atto che avrebbe sconvolto per sempre la sua vita, ma benedice lui e la sua famiglia per sempre. Insomma Dio ricompensa la fedeltà del suo patriarca, che ancora oggi viene esaltato come emblema della fede, perché appunto il credere e il restare saldo nel Signore gli sono di sprone nei riguardi di Dio, nonostante il pericolo poi scampato di dover uccidere l'unico suo figlio. La prova a cui Abramo viene sottoposto ci suggerisce che il cammino quaresimale, che è un riflesso dell'intero percorso di vita, per il fatto che si configura come luogo di continua conversione, trasformazione interiore, cambiamento radicale, comporta anche l'assillo di prove e di sacrifici e questi in effetti non possono che essere all'ordine del giorno, visto che l'antico avversario è sempre in agguato. Sotto caratteristiche e forme differenti, il dolore e la prova saranno sempre nostri compagni di viaggio e ci sorprende senz'altro dover constatare che anche adesso come allora devono pagare dazio solo le persone innocenti secondo un'ingiustizia sottolineata anche dal Qoelet: per cui i malvagi vincono e i poveri piangono e le ingiustizie sono sofferte da coloro che non le meritano. Al giorno d'oggi tante persone innocenti si configurano nello strazio di Abramo mentre allunga la mano sul coltello per colpire Isacco: persone pie, devote e fedeli costrette a soccombere a sacrifici e immolazioni che dovrebbero colpire ben altri!! Questo è un aspetto della Quaresima che riguarda per intero la nostra vita, ma che non può non suscitare in noi una domanda pertinente: un Dio giusto può volere il male dell'innocente? Può lasciare che le ingiustizie e le difformità prendano il sopravvento sulla fedeltà e sulla radicalità? Consideriamo attentamente che Dio ha risparmiato ad Abramo di dover sacrificare Isacco, ma non risparmierà il proprio Figlio sulla croce. Gesù sarà infatti vittima innocente e immolata, dal cui sacrificio nessuno lo libererà. Anzi, morirà anche vilipeso, oppresso e maledetto, poiché sta scritto: "Maledetto chi pende dal legno"(Gal 3, 13); conoscerà l'abbandono e l'ignominia, anche se la sua morte si tramuterà poi in occasione di gloria e di innalzamento. Già il lieto fine della vicenda di Abramo ci rassicura del premio finale che Dio riserverà sempre ai giusti, che è sempre proporzionato alla fedeltà usata nei suoi confronti e al bene fatto in vista della sua gloria. La pasqua (il cui termine significa peraltro passaggio) è la lieta conclusione delle vicende tristi della nostra vita, il passaggio dalla prova alla serenità, dal dolore alla gioia, dalla sfiducia alla consolazione e tutto è racchiuso nella croce e nella resurrezione di Gesù Figlio di Dio. Di questo passaggio dalla pena alla gloria lo stesso Gesù ci offre una caparra nell'episodio eloquente che si consuma sul monte della trasfigurazione alla presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni, apostoli che saranno poi testimoni credibili di questo avvenimento. Essi, che sanno benissimo che dovranno essere spettatori del nefasto spettacolo della cattura e della crocifissione del loro Signore, lo vedono adesso rivestito di gloria indicibile e concepiscono la sua divinità invitta e grandiosa. Comprendono come il dolore che sta per incombere sul loro maestro non può avere la parola definitiva ma solamente che esso è necessario affinché la gloria di cui hanno ora un saggio diventi manifesta per sempre e perché anche noi tutti possiamo diventarne partecipi. Se è vero che sono inevitabili prove, sacrifici, combattimenti, è altrettanto vero che le croci diventano gloriose e allora vale la pena vivere la speranza e l'attesa. Alla fine il trionfo arriverà e come diceva Moliere il frutto tardivo è sempre quello migliore. "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno."(2Tm 4, 7 - 8); così dirà Paolo, il quale testimonia che del resto la fede è la risorsa irrinunciabile in grado di consentire che lo sforzo non ci pesi e che le Forche Caudine, sebbene inevitabili, sono un ostacolo possibile ad essere superato e che al di là di esse ci aspetta il premio, la corona della vittoria. La fede è l'arma con la quale è possibile la perseveranza mentre si lotta conto il dolore perché non si impossessi di noi. Essa sola può dare forza e vigore e garantire che non si vacilli ma che ci si radichi e si omettano paura e inquietitudine. Specialmente se è fede nel Crocifisso Risorto. |